“I problemi esistono, ma non c’è dittatura”

Statue dallo sguardo malinconico e severo sopportano sulle proprie spalle il peso di aristocratici balconi. È l’immagine che, almeno per chi scrive, sembra raccontare nel modo più esaustivo Budapest e l’atmosfera ungherese. Infiniti i monumenti, le sculture, le targhe commemorative che costellano la città magiara, testimonianza di un passato ingombrante con cui sembra difficile fare i conti. Una storia che pesa sugli ungheresi come i balconi sulle spalle delle statue che sembrano ispirarsi ad Atlante, il titano ribelle costretto da Zeus a portare su di sé il peso del mondo. Il governo filonazista e le croci frecciate, l’occupazione sovietica, il regime comunista, spettri che ancora infestano il presente ungherese come testimonia, per esempio, il favore ottenuto alle ultime elezioni dall’estrema destra. “Non ho paura di una dittatura – mi spiega il sociologo András Kovács, professore alla Central European University di Budapest nonché figura di spicco dell’ebraismo ungherese – onestamente non mi sembra plausibile. Certo che dai banchi del Parlamento si facciano invettive contro gli ebrei e contro i rom non è rassicurante. Diciamo che si sta preparando un terreno su cui sarà difficile camminare”. La questione delle minoranze, la realtà ebraica ungherese e l’effetto della Shoah, l’antisemitismo sono alcuni dei campi di ricerca del professor Kovács. Se si vuole una fotografia dell’ebraismo magiaro basta leggere il suo recente report sul tema, pubblicato assieme alla psicologa Aletta Forrás-Biró lo scorso settembre per l’Institute for Jewish Policy Research. Un fardello particolarmente gravoso, tornando alla questione della storia, è quello che portano con sé gli ebrei d’Ungheria. La più grande comunità dell’Europa centrale, che sulla carta conta circa 100mila persone (quasi mezzo milione prima della Shoah), vede numeri decisamente esigui per quanto riguarda le adesioni alle istituzioni ufficiali. “Solo il 10 per cento degli ebrei ungheresi – sottolinea Kovacs – è iscritto alle organizzazioni ebraiche presenti nel paese. Il Rinascimento della comunità di cui si parlava dopo la caduta del regime si è ben presto arrestato e ora ci troviamo con un sistema eterogeneo e ben strutturato ma senza ebrei, senza le persone”. Dall’inizio degli anni Novanta, diverse associazioni e organizzazioni legate al mondo ebraico e a Israele si sono insediate in Ungheria con la speranza di ridare vita a una delle esperienze più floride del panorama ebraico internazionale. L’assimilazione, la dura politica di secolarizzazione del regime comunista, le ferite della deportazione e della Shoah hanno ostacolato i piani di rinascita. Così, come ricorda Kovàcs, le strutture sono rimaste semideserte. La fotografia della attuale realtà ebraica ungherese racconta di una organizzazione cappello, Mazsihisz, che rappresenta i Neolog (realtà progressive nata nella metà dell’800 e lontana parente dei Conservative americani); una comunità ortodossa; i chabad e i reform, entrambi arrivati in Ungheria dopo la caduta del Muro. Con 48 sinagoghe sparse per il Paese e 14 a Budapest, i Neolog rappresentano la comunità maggioritaria e di fatto controllano l’organizzazione Mazsihisz (creata nel 1991 e in cui siedono anche alcuni rappresentanti degli ortodossi), ente di riferimento per le istituzioni statali. “Il fatto che Mazsihisz sia l’interlocutore privilegiato fa sì che a quest’ultimo siano affidati i fondi statali da ridistribuire con le altre realtà. Negli anni i contrasti sulla questione monetaria si sono inaspriti e il governo attuale ha fatto pressione sui Neolog per una spartizione diversa dei fondi – afferma Kovàcs – Il problema inoltre è che da tutto ciò rimangono fuori le organizzazioni laiche, in difficoltà di fronte alla mancanza di sovvenzioni”. Tre grandi problemi affliggono la realtà ebraica ungherese, spiega il sociologo: poca partecipazione nonostante un sistema ben strutturato; divisioni interne, inasprite dalla questione dei fondi statali; e infine l’antisemitismo. “Dal 2006 c’è stato un peggioramento sul fronte degli attacchi, soprattutto verbali ma altrettanto preoccupanti, contro gli ebrei. L’atmosfera si sta facendo più pesante, l’estrema destra con il partito Jobbik ha raggiunto il 17% alle ultime elezioni. Euroscetticismo, populismo, retorica nazionalista sono in costante crescita e a farne le spese sarà tutta la società. Ovviamente bersagli preferiti sono ebrei e rom, fortemente sotto attacco”. E cosa fa il primo ministro Orban (a capo del partito di maggioranza Fidesz) e il governo? Il Washington Post e altri giornali di rilievo puntano il dito contro il premier magiaro accusandolo di autoritarismo e di censura ma Kovàcs è cauto sulle responsabilità di Fidesz e Orban. “Il governo deve essere più deciso contro queste tendenze discriminatorie e xenofobe, le violenze e gli atti; Fidesz deve capire che il suo più grande nemico è Jobbik e l’estremismo di destra”. I fantasmi continuano a gravare sulla società magiara, prendono forma e il peso sulle spalle degli ungheresi, tutti gli ungheresi, aumenta.

Daniel Reichel – Pagine Ebraiche aprile 2012 – twitter @dreichelmoked