Pesach 5772 – Il nome di Mosè

Rabbì Yosè di Galilea diceva: da dove impariamo che gli egiziani furono colpiti in Egitto da dieci piaghe e sul mare da cinquanta? Riguardo all’Egitto il testo dice – i maghi dissero al faraone “questo è il dito di D-o” (Esodo 8:15) – e riguardo al mare il testo dice – “Israele vide la mano grande con cui il Signore operò contro gli egiziani e il popolo temette il Signore ed ebbe fiducia in D-o e in Moshè suo servo” (Esodo 14:31).
Il senso di questo Midrash è basato su una proporzione numerica riguardo alle due espressioni “il dito di D-o” e “la mano grande”. Se le dieci piaghe in Egitto sono opera del “dito di D-o” e il dito è un quinto della mano, sul mare le piaghe sono cinquanta perché è intervenuta tutta la mano. Ma il Midrash citato, nasconde un’altra curiosità del Midrash: questo è il brano dell’Haggadah in cui appare, per l’unica volta, il nome di Moshè Rabbenu. Addirittura, ci sono edizioni di Haggadot in cui questo brano non compare per nulla cosicché, il nome di Moshè risulta essere assente nella narrazione degli avvenimenti di cui, come tutti sanno, ne è personaggio principale. Si tratta di un fatto casuale o l’esclusione è intenzionale? E se così fosse, cosa ci vuole insegnare?
Possiamo pensare che l’omissione del nome di Mosè sia collegata alla volontà di attribuire il merito dell’uscita prodigiosa dall’Egitto esclusivamente al Signore. Il racconto dell’apertura del Mar Rosso, momento clou della liberazione del popolo ebraico, esalta in qualche modo la figura di Mosè così, forse, gli autori dell’Haggadah hanno pensato di scongiurare una possibile attribuzione del miracolo al profeta ricordando che tutto ciò che è avvenuto è opera di D-o: non attraverso un messo, non attraverso un Saraf (una delle categorie angeliche) e non attraverso un incaricato, ma il Santo Benedetto Egli sia, Egli stesso con la Sua Maestà.
Un altro Midrash (Mechiltà deRabbì Shim‘on bar Yochai 14, 21) interviene su questa questione: e stese Mosè sul mare la sua mano…; quando Mosè arrivò al mare gli disse di aprirsi in nome di D-o e non accettò; gli mostrò il bastone dei prodigi e non accettò; siccome il mare vide la presenza di D-o “il mare vide e fuggì” (Salmo 114, 3); allora Mosè disse al mare: ti ho parlato in nome di D-o e non hai accettato, ti ho mostrato il bastone e non hai accettato – “che cosa hai o mare che fuggi?” (Salmo 114, 5) Il mare rispose: non a causa tua figlio di Amram, ma “davanti al Padrone tremi la terra” (Salmo 114, 7).
Non dobbiamo pensare al ridimensionamento dell’importanza di Moshè, anzi, la sua grandezza è tale che anche la sua “assenza” ci lascia un insegnamento. Certamente dobbiamo essere riconoscenti a Mosè e, come dice Rav Avigdor Nevenztal, dobbiamo esserlo addirittura del faraone senza il quale non celebreremmo Pesach. “L’assenza di Mosè”, ci insegna che la nostra riconoscenza va solo al Signore poiché “non v’è altri all’infuori di Lui” (Devarim 30:35).

Adolfo Locci, rabbino capo di Padova