La matzah che si libera

Cosa rappresenta la matzah nel corso del seder? Forse non tutti ci fanno caso, ma la risposta a questa domanda è tutt’altro che univoca. “Questo è il pane dell’afflizione che mangiarono i nostri padri in terra d’Egitto”. Dunque è il simbolo della schiavitù. Troppo semplice, vediamo cosa si dice un po’ più avanti, al termine della narrazione: “Questo pane azzimo che noi mangiamo, perché lo mangiamo? Perché l’impasto dei nostri padri in Egitto non ebbe tempo di lievitare”. Ah, allora rappresenta la transizione tra schiavitù e libertà, il momento del passaggio, un processo necessariamente incompleto. Forse, ma non finisce qui. Si avvicina la cena e la matzah torna ad essere soprattutto pane (quello su cui si recita la normale benedizione, ma anche quello specifico della festa), e poi ancora, nella rievocazione di ciò che faceva Hillel, il pane azzimo che accompagnava il sacrificio pasquale. E finalmente l’ultima volta che compare (sotto forma dell’Afikomen nascosta e ritrovata) rappresenta il sacrificio pasquale stesso, il massimo simbolo di libertà, e in un certo senso anche l’attesa messianica. Anche noi iniziamo il seder identificandoci con gli ebrei schiavi in Egitto, poi con il passaggio, con la liberazione e alla fine apriamo la porta per fare entrare il Profeta Elia, l’annunciatore del Messia. Anche noi, come la matzah, durante il seder passiamo dalla schiavitù alla libertà.
E’ affascinante che uno dei simboli più importanti, che dà addirittura il nome alla festa, rovesci completamente il proprio significato: la matzah non si libera solo perché assume progressivamente un significato positivo, ma forse, con le sue continue trasformazioni e con la sua identità molteplice (come quella ebraica), si libera dalla necessità di un significato univoco e in questo modo libera anche noi dal rischio dell’idolatria (che in fin dei conti si può definire come una confusione tra significante e significato). Oltre a quelli esplicitamente dichiarati la matzah avrà per ciascuno di noi un significato particolare: il ricordo di un pericolo o di una liberazione, le tradizioni, la famiglia, l’infanzia; significati che possono cambiare da un seder all’altro o magari da un momento all’altro nel corso dello stesso seder. Anche per questo, forse, Pesach, nonostante le sue regole rigidissime, è senza dubbio per tutti noi la festa della libertà.
Auguro a tutti un Pesach kasher ve-sameach.

Anna Segre, insegnante