Pesach 5772 – Rav Bernheim “Impariamo il linguaggio di chi è diverso da noi”

Non è per me un dovere venire a parlare della festa di Pesach davanti a voi. È soprattutto un piacere e un’occasione per parlare di Torah, di Pesach, in una maniera differente da quelle a cui sono abituato. Come sapete nella Haggadah, nell’Haggadah di Pesach che leggeremo venerdì sera e la sera di shabbat, durante il Seder, rispondiamo alle domande dei quattro figli e tra i quattro figli c’è quello chi non sa fare domande; c’è però anche quello che non può fare domande.
Un midrash insegna già da lungo tempo che per rispondere a colui che non può fare domande perché è muto o perché è sordo, o ipoudente, o tutte queste cose insieme, si deve trovare un linguaggio che egli possa comprendere, in modo da non perdere il contenuto degli insegnamenti della haggadah di Pesach.
Questo insegnamento del midrash è molto attuale e ci parla di quello che l’Associazione francese ebraica di assistenza ai sordi e ai muticerca di fare da molti anni, per essere certi che l’insegnamento della Torah non sia perduto per coloro che non possono, non perché non vogliono ma semplicemente perché non possono sentire e dire gli insegnamenti della Torah a voce alta e chiara.
Per questo noi dobbiamo, e quando dico noi parlo della comunità ebraica, delle istituzioni ebraiche, far arrivare il segno della nostra immensa gratitudine all’Association Israélite des Malentendants Muets et Sourds perché essa permette di rispondere alla questione posta dal midrash, su come insegnare l’Haggadah di Pesach a coloro che non possono sentirla o pronunciarla.
Vorrei aggiungere un insegnamento molto semplice a proposito di Pesach. Spesso, nella Bibbia, la Torah, ci viene ricordato l’obbligo di non dimenticare che siamo stati schiavi in Egitto. Perché ricordarcelo così spesso, se non per insegnarci, come dice il Talmud, che non dobbiamo comportarci nei confronti degli stranieri come gli egiziani si sono comportati con gli ebrei in Egitto?
Dobbiamo fare diversamente rispetto agli egiziani, che si comportavano con disprezzo nei confronti di tutto quello che era loro straniero, straniero perché veniva da un’altra terra, straniero perché portatore di un’altra cultura, straniero anche perché non aveva le stesse capacità degli egiziani. Quando gli egiziani avevano davanti a se degli uomini o delle donne che non potevano capire, non mostravano solo disprezzo, non mostravano solo esclusione, era spesso la volontà di condannare a morte quelli che ai loro occhi non davano soddisfazione immediata, quelli a cui non sapevano come rivolgersi o di cui non sapevano che fare.
È proprio questa la ragione per cui a noi viene ricordato così spesso come non dobbiamo comportarci, nei confronti di quelli che possono apparirci come stranieri o per esempio di quelli che non sanno comunicare, o che non possono comunicare con il linguaggio, o che non lo sentono. Il nostro comportamento deve essere opposto a quello degli egiziani, dobbiamo saper imparare il linguaggio di colui che non parla la nostra stessa lingua, per trasmettere e sentire la sua ricchezza, che – perché muto, o sordo, o perché ipoudente – non può essere detta nella stessa forma in cui lo faremmo noi, ma che non è per questo meno depositaria di intelligenza, di una grande ricchezza dello spirito, di spiritualità e di amore per la terra, per la Torah e per Dio.
Sono tutte cose che non dobbiamo dimenticare a Pesach quando durante il Seder ci verrà ricordato, una volta ancora: “Non dimenticare che sei straniero in terra d’Egitto”. E io aggiungo, col Talmud “Perché nulla nel tuo comportamento possa ricordare il comportamento degli egiziani nei confronti di colui che era loro straniero”.
Avrei terminato augurandovi innanzitutto salute, una festività felice, unita nella comunità e in famiglia, in maniera che il messaggio di Pesach non venga mai dimenticato.
Ma non posso non fare, in conclusione, un collegamento con quello che la Francia e la comunità ebraica e in particolare la Comunità di Tolosa e la scuola Ozar Hatorah hanno vissuto in queste due ultime settimane.
Sono passate circa due settimane da quel lunedì mattina in cui nel cortile della scuola Ozar Hatorah un uomo è venuto per uccidere, per odiare, per distruggere; quest’uomo, quando è stato trovato, urlava il suo odio per il prossimo, per la Francia, per l’Occidente. Per giustificare il suo atto, terrificante e portatore di morte, diceva che l’aveva fatto in nome dei poveri della Terra, in nome dei bisognosi, di coloro a cui mancano molte cose, a Gaza o altrove.
A questo la nostra sola risposta è dire che quando ci sono dei bisognosi, quando è ora di dare a coloro che non hanno l’essenziale, non è con un messaggio di odio e con l’apologia dell’assassinio che possiamo farlo. È con un messaggio di amore, con la preoccupazione di condividere, con l’attenzione al prossimo che facciamo sì che chi non ha possa avere.
Così il nostro messaggio di Pesach è il messaggio della comunità ebraica, è il messaggio degli ebrei che soffrono da due settimane; il messaggio con cui dobbiamo uscire da qui, è il messaggio che dobbiamo dare in occasione di Pesach per dire che nonostante l’odio che è stato ancora una volta diretto contro gli ebrei e contro Israele, nulla ci allontanerà dalla nostra voce, che vuole che ci si preoccupi di coloro che hanno bisogno, in nome della rettitudine, della giustizia e della verità.
Grazie per aver ascoltato, grazie all’associazione che ha reso questo momento possibile e soprattutto, mi auguro che ci siano altre occasioni di incontro, con me o con altri, perché la Torah, che ci è cara, non sia sconosciuta a nessuno.
Pesach kasher ve sameach e hag sameach a ognuna e ognuno di voi.

Rav Gilles Bernheim, rabbino capo di Francia

Intervento di saluto rivolto a Parigi dal rav Bernheim a una platea di sordomuti e tradotto simultaneamente nel linguaggio dei segni

(versione italiana di Ada Treves)