Pesach 5772 – Rav Sacks “Liberi per onorare la libertà di tutti”

La storia di Pesach, dell’Esodo dall’Egitto, è una delle storie più antiche e più grandiose del mondo. Racconta come un popolo, tanto tempo fa, sia stato oppresso e poi portato alla libertà attraverso un lungo e arduo viaggio attraverso il deserto. È la storia di un passaggio dalla schiavitù alla libertà più drammatica mai raccontata, una storia che è diventata il libro di riferimento più influente sulla libertà in Occidente. “Fino dai tempi dell’Esodo – ha detto Heinrich Heine, il poeta tedesco del XIX secolo – la libertà ha sempre parlato con un accento ebraico”.
Leggiamo nell’Haggadah, in Magghìd (Narrazione), di rav Gamliel, che diceva che chi non discute dell’agnello di Pesach, della matzah e delle erbe amare non esce dall’obbligo del seder. Il perché di queste tre cose è chiaro: l’agnello di Pesach, un cibo di lusso, simboleggia la libertà. Le erbe amare rappresentano la schiavitù, a causa del loro sapore. La matzah unisce le due cose: era il pane che mangiavano gli ebrei in Egitto quando erano schiavi, era anche il pane che non poterono attendere mentre uscivano dall’Egitto come genti libere.
Non si tratta solo di simbolismo: è interessante anche l’ordine in cui se ne parla nell’Haggadah. Per prima cosa viene l’agnello di Pesach, poi la matzah e infine le erbe amare. Ma sembra strano: perché il simbolo della libertà precede quelli della schiavitù? Sicuramente la schiavitù veniva prima della libertà, per cui sarebbe più logico parlare prima delle erbe amare. La risposta, secondo i maestri chassidici, è che la schiavitù ha sapore amaro solo per un popolo libero. Se gli israeliti avessero dimenticato la libertà sarebbero cresciuti con l’abitudine alla schiavitù. L’esilio peggiore è non sapere più di essere in esilio.
Per essere veramente liberi dobbiamo capire cosa significa non essere liberi. Tuttavia la libertà stessa assume dimensioni diverse, concetto che si riflette nelle due parole ebraiche che si usano per descriverla, chofesh e cherut. Chofesh è ‘libertà da’, cherut è ‘libertà di’. Chofesh è quello che acquisisce uno schiavo liberato dalla schiavitù. Egli, o ella, è libero, non è più soggetto alla volontà altrui. Ma questo tipo di libertà non è sufficiente a creare una società libera. Un mondo in cui ognuno è libero di fare quello che vuole inizia con l’anarchia e finisce con la tirannide. Questo è il motivo per cui chofesh è solo l’inizio della libertà, non il suo destino ultimo.
Cherut è la libertà collettiva, una società in cui la mia libertà rispetta la tua. Una società libera è sempre un risultato morale. Si appoggia sull’autolimitazione e sul rispetto per gli altri. L’obiettivo finale della Torah è plasmare una società sulle fondamenta della giustizia e della compassione, che dipendono entrambe dal riconoscere la sovranità di Dio e dell’integrità della creazione. Per questo noi diciamo “Che l’anno prossimo possiamo essere tutti bnei chorim”, invocando cherut, non chofesh. Significa “che possiamo essere liberi in una maniera che onori la libertà di tutti.”
La storia di Pesach, più di qualsiasi altra, resta una inesauribile fonte di ispirazione per tutti coloro che aspirano alla libertà. Insegna la sovranità del diritto sopra il potere; che la libertà e la giustizia devono appartenere a tutti, non solo a qualcuno; che sotto a Dio tutti gli esseri umani sono uguali; che sopra a qualsiasi potere terreno sta il Re dei Re, che sente le grida degli oppressi e che interviene nella storia per liberare gli schiavi. Ci sono voluti molti secoli perché questa visione diventasse un fatto acquisito e condiviso di tutte le democrazie occidentali e non solo; non abbiamo garanzie che rimarrà tale. La libertà è un risultato morale, e senza uno sforzo costante di educazione si atrofizza e diventa di nuovo necessario combattere per arrivarci. In nessun posto più che a Pesach, tuttavia, vediamo come la storia di un popolo possa diventare ispirazione per molti; come, fedele alla propria fede attraverso i secoli, il popolo ebraico sia diventato il garante di una visione attraverso cui, alla fine “tutti i popoli della terra saranno benedetti”.
Auguro a voi e alle vostre famiglie Chag kasher vesameach.

Rav Lord Jonathan Sacks, rabbino capo del Commonwealth

(versione italiana di Ada Treves)