Patriarchi

«E basta con questi patriarchi più o meno rincoglioniti» ha sintetizzato Massimo Cacciari. La letteratura rimane letteratura anche se militante. Ci ricordiamo la descrizione del potere spagnolo (austriaco) fatta da Manzoni più facilmente del saggio di uno storico, e se dovessimo spiegare a un giovane la condizione operaia del Dopoguerra prenderemmo «Memoriale» di Paolo Volponi, forse la «Chiave a stella» di Primo Levi, ritenendo che questi libri siano più efficaci di un rapporto Istat. Non è solo questione di leggibilità: la funzione della letteratura, della buona letteratura, è far comprendere situazioni complesse grazie all’interazione tra personaggi, intrecci, descrizioni. Tanto più nel caso della poesia, che aspira a una maggiore immediatezza per via della brevità del verso. A mio parere la letteratura va giudicata internamente, cioè per il risultato che costituisce in sé. Al massimo va letta nel confronto con altre opere letterarie presenti e passate. Poco devono interessare la biografia dell’autore – su cui peraltro si può esprimere qualsiasi giudizio – o le polemiche politiche che dal testo possono scaturire.
E dunque la poesia di Gunter Grass su Israele va giudicata con un metro letterario. Potrebbe essere una bellissima poesia – a mio giudizio non lo è – anche se esprime posizioni politiche assurde sull’Iran e su Israele. E potrebbe essere una bellissima poesia nonostante Grass sia stato una giovane SS. Il problema è un altro. È proprio Grass a dettare la critica meschina per promuovere una poesia mediocre. Perché scrivere, altrimenti, «Il verdetto “antisemitismo” è d’uso corrente»? O «La mia origine / gravata da una macchia incancellabile»? O infine «Come tedeschi con sufficienti / colpe a carico»? Vi pare che un grande poeta si occupi di questa minutaglia? Questa è polemica giornalistica, e della più corriva. Alla quale, purtroppo, spesso si risponde senza aver letto il testo.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas