In cornice – Il linguaggio dei fiori
Bisogna osservare un bel quadro antico pensando che al di là dell’apparenza, della bellezza formale, nasconde un significato profondo. Se non comprendiamo quel significato, abbiamo capito poco o nulla dell’opera: l’arte antica non è meno difficile da capire di quella contemporanea, anzi. La riflessione è scontata per i quadri della famiglia fiamminga seicentesca dei Brueghel, ora in mostra a Villa Olmo di Como. In realtà, a Como non hanno portato quadri del capostipite – il più che famoso Pieter il Vecchio-, ma soprattutto quelli di suo nipote Jan il giovane, che però, fra i Brueghel, è secondo solo a Pieter. Ebbene, Jan dipingeva soprattutto grandi vasi fiori, con l’aggiunta di qualche piccolo insetto. I colori sono splendidi, la composizione armonica, il soggetto riprodotto da vero virtuoso. Ma, guai a fermarsi a questo livello di osservazione; anche perché così sembrerebbe che Jan sia monotono, mentre non lo è affatto. Ognuno dei fiori che dipingeva aveva un suo preciso significato, ogni vaso aveva un messaggio che va decriptato. Per questo bisogna utilizzare il linguaggio dei fiori di quel tempo, e che aveva forti connotati religiosi-moralistici, non quello laicizzato che si è diffuso nell’Ottocento e che oggi conosciamo. Facciamo un esempio: la margherita è ed era simbolo di semplicità, ma l’iris una volta era associata ai dispiaceri (tanto affilati da tagliare il cuore -, simili in questo al fogliame tagliente dell’iris), mentre oggi rimanda a sentimenti positivi, all’arcobaleno. Per andare alla mostra dei Brueghel bisogna prepararsi con cura, non restare superficialmente abbagliati dalla tecnica o dal colore. Per questo conto di tornare a vederla di nuovo.
Daniele Liberanome, critico d’arte