Laici, religiosi e scorciatoie impossibili

L’ebraismo italiano è attraversato da una tensione notevole tra «laici» e «religiosi». A Milano, una lettera di Stefano Jesurum ha recentemente innescato un dibattito, durato vari giorni grazie al contributo di personalità comunitarie e rabbiniche. Ma se il problema non fosse ebraico? Se gli ebrei italiani fossero un piccolo sintomo di un fenomeno più ampio? Secondo indagini recenti i sacerdoti della Chiesa cattolica sono passati in un secolo da 68 mila a 28 mila, mentre la popolazione italiana è quasi raddoppiata; dal 2004 al 2009 i preti sono calati di 1500 unità e la loro età media è attorno ai 60 anni; se nel 2000 (indagine Swg, citata alcuni giorni fa su «Sette») il 65% degli italiani dichiarava di aderire ai valori cattolici, la percentuale è scesa al 46% nel 2009, con un decremento della centralità di quei valori anche tra i credenti. Insomma, una vera e propria emorragia. Bilanciata, però, dall’esplosione del turismo religioso nei santuari (una soluzione «consumistica») e dei movimenti più radicali. E che ha come corollario la critica sempre più aggressiva nei confronti della Chiesa e del clero, di cui su Twitter si è avuto un saggio in occasione del compleanno di Benedetto XVI.
Quando il papa afferma che l’-esimo (cristianesimo) è stato sconfitto dall’-ismo (relativismo), omette di dire che il contrappeso di questa sconfitta è spesso una militanza religiosa più estrema (estrem-ismo).
A me pare che, fatte le debite proporzioni, i problemi siano simili e dunque riguardino la società nel suo complesso. E hanno ragione i rabbini quando ammoniscono a non confondere la comprensione con il cedimento. Il crinale è assai sottile. Ma se le religioni vogliono giocarsi questa partita, in Occidente, dovranno ricorrere a compromessi, mediazioni, passi indietro, lunghe battaglie culturali. Non si vince questa sfida con le scorciatoie.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas