Shoah, quello che non ci siamo detti
I silenzi degli anni ’50 costituirono un’eco assordante nella vita di molte famiglie ebraiche romane. Silenzi densi di interrogativi, di dolore, di nostalgia per il ricordo di persone che non potevano essere nemmeno nominate perché il solo pronunciarne il nome poteva provocare dolorosi effetti.
Quante cose non sono mai state dette nelle case delle famiglie ebraiche: per molti che negli anni 50 a Roma erano ebrei bambini o giovani adulti, l’urgenza della ricostruzione, il lasciarsi alle spalle un passato doloroso e la impossibilità di elaborare un lutto, oltretutto in assenza di una tomba sulla quale pregare o piangere.
Quanti nomi come quello di Eugenio Zolli non sono stati pronunciati per tanti e tanti anni.
E ancora: i vertici della Comunità romana hanno protetto gli ebrei della loro Comunità? E – se sì – in quale misura? La storia non si fa con i “se”, ma qualcosa in più avrebbe potuto essere fatto?
“Tutti gli ebrei sono garanti l’uno per l’altro”. Ma a Roma è stato proprio così?
Gli ebrei che si sono salvati non solo perché la fortuna li ha assistiti, ma anche perché furono in grado di operare scelte che si potevano permettere perché più ricchi di altri, quanto pensarono ai loro correligionari meno fortunati e con meno possibilità economiche?
E nel dopoguerra come furono accolti i reduci? Quelli che tornavano dai Campi, quelli che in ebraico si chiamano i “sridé shoah”, le rovine delle quali dopo un incendio non rimane solo cenere. La Comunità di Roma fu pronta a fornire loro e alle loro famiglie una rete di solidarietà ed appoggio? In quale misura ci furono persone disposte ad ascoltare i loro racconti?
Tante domande forse mai poste per pudore, per reticenza, per vergogna. Vergogna anche di essersi salvati di fronte ad altri che invece ebbero un destino ben peggiore.
Quanto tutto questo ha contato e continua a contare nella Roma ebraica di una o più generazioni dopo? Quando furono interrotti i silenzi che hanno accompagnato la crescita di che furono bambini nel dopoguerra?
Domande scomode, rimaste in sospeso per tanti – troppi – anni e che faranno discutere Gavriel Levi, professore universitario, stimolato da Victor Magiar, consigliere UCEI, con il pubblico che si vorrà confrontare su questi temi, e porre – appunto – queste o altre domande.
Alle ore 20 verrà proiettato un interessante filmato realizzato dall’Istituto Yad Vashem “Possa il tuo ricordo essere amore. La storia di Ovadia Baruch”, ebreo di Salonicco, sarid shoah, Il filmato è in ebraico con sottotitoli in italiano e verrà presentato da Yiftach Ashkenazy (Yad Vashem, International School for Holocaust Studies).
Sira Fatucci
L’incontro, nato nell’ambito del progetto “Quale identità ebraica? Generazioni a confronto”, a cura di Sira Fatucci e Ilana Bahbout per l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, si terrà domani alle ore18 presso il centro Bibliografico dell’UCEI in Lungotevere Sanzio 5, a Roma.