Dal buco della serratura
Finalmente le liste per l’UCEI sono state presentate e la tortura (per ora) è finita: articoli su Pagine ebraiche che esaltano il nuovo corso democratico, inviti via mail a darsi da fare in prima persona per presentare candidati (ma perché ce li mandano? Per aggiungere al danno la beffa?), tutti i discorsi sui Consiglieri eletti direttamente dalla base comunitaria. Tutto questo – ma sembra che sia un fatto irrilevante – vale solo per i fortunati romani, milanesi, triestini, fiorentini e livornesi che avranno la possibilità di votare. Noi, gli iscritti alle altre comunità, mentre aspetteremo di sapere chi sarà stato nominato dai nostri Consigli comunitari, ce ne staremo alla finestra a vedere come vanno le cose, distrattamente e da lontano, così come guardiamo le elezioni francesi o le primarie americane. Ci domanderemo se a Roma vinceranno le femmine o i maschi, e forse segretamente ognuno farà il tifo per il proprio genere. Prenderemo nota dei nomi di parenti, amici e conoscenti eletti nelle altre comunità per congratularci con loro alla prima occasione utile. Nessuno potrà dire se avrà vinto la destra o la sinistra perché questi concetti a quanto pare sono obsoleti. E’ finita l’epoca degli incontri con gli ebrei di altre città per discutere, confrontarsi ed elaborare programmi comuni. Sono finiti gli scontri ideologici. Vuol dire che si litiga di meno? Non mi pare, direi piuttosto che si litiga in modo diverso.
A volte, però, ho l’impressione di essere rimasta l’unica ad arrabbiarmi quando mi viene ricordato che gli altri voteranno e io no, a sentirmi come qualcuno a cui è stata chiusa in faccia la porta di una stanza in cui credeva di aver diritto ad accedere e che è costretto a guardare dal buco della serratura cosa succede all’interno: da Torino l’UCEI (a parte pagine ebraiche e l’Unione informa) appare lontanissima, quasi un’altra dimensione. E dopo il 10 giugno questa distanza non potrà che aumentare. Sarà come tornare a prima del 1987; allora, però, non votava nessuno e la legge era uguale per tutti. Chissà, forse un giorno, tra venti o trent’anni, ci sarà una nuova riforma statutaria. Allora potremo risvegliarci dal letargo. Nel frattempo, per favore, risparmiateci gli appelli alla partecipazione.
Anna Segre, insegnante