Moked 5772 – Futuro e condizione della donna
“Ammettiamo la difficoltà: nei testi della tradizione ebraica esistono dei passaggi problematici nei confronti delle donne. Di fronte a questa notizia, possiamo scegliere di chiudere il libro che stiamo studiando e ignorare quei passaggi oppure di affrontare il problema di petto, occupandocene e cercando di capire come questi testi influenzano il modo in cui gli uomini considerano e trattano le donne oggi. Se riusciamo a far passare il messaggio che certe cose non sono accettabili da dire, un giorno arriveremo a far capire che non sono nemmeno accettabili da pensare”. Non si nasconde Jacqueline Nicholls, londinese capace di fondere il suo lavoro di artista e l’appassionato studio della Torah, saldamente radicato nella tradizione modern orthodox. Come non si è nascosto nessuno trai relatori e i partecipanti al Moked 5772, fine settimana tra cultura e relax organizzato dal Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Un appuntamento che ha portato sul palco tante donne di diverso background a raccontare il proprio rapporto con l’ebraismo come forse in Italia non si era mai visto, senza nascondersi per affermare che tante cose stanno cambiando e soprattutto, tanti pregiudizi nei confronti del ruolo della donna nell’ebraismo stanno cadendo: esistono delle tefillot condotte da donne per donne, ragazze che per celebrare il bat mitzvah preparano la lettura della Parashah (casi in cui tocca agli uomini rimanere lontani nel matroneo), e molteplici opportunità di studio anche ad ogni livello, in Israele e nel resto del mondo. Ma anche in Italia tante cose cominciano a muoversi. Uno spaccato della realtà israeliana è stato offerto dalla giornalista Bambi Sheleg di Acheret Israel, testata che si propone di raccontare appunto “L’altra Israele”, quella che secondo la Sheleg non viene spiegata dai media, che si preoccupano soltanto di andare a cercare le posizioni e i personaggi più estremi di ogni componente della società e non di quella stragrande maggioranza delle persone che sono quelle con cui “si può avere a che fare”. A portare invece la visione da una prospettiva “laica” è stata la giornalista scientifica Daniela Ovadia, che si è soffermata sulle differenze, ma soprattutto sulle somiglianze tra uomini e donne dal punto di vista della neuroscienza, ma anche sull’influenza che determinate regole, ma soprattutto credenze a proposito di queste regole, abbiano influenzato la vita delle donne della sua famiglia, pur essendo loro lontane da qualsiasi osservanza religiosa.
Per un Moked dedicato al ruolo delle donne nel mondo ebraico di oggi ancora due appuntamenti importanti prima della trasferta a Ferrara per ricongiungersi con la Festa del Libro: una tavola rotonda per celebrare gli 85 anni dell’Adei, sezione italiana della Women International Zionist Organization, con il presidente nazionale Ester Silvana Israel, Laura Wofsi, responsabile del Premio letterario e Carla Guastalla, capo del dipartimento cultura, un incontro che dopo aver raccontato la storia e i successi dell’Adei, ha lasciato spazio a un intenso dibattito sul futuro dell’organizzazione e sulla necessità di coinvolgere maggiormente le nuove generazioni. La serata ha invece lasciato spazio allo spettacolo “Il Mare in valigia”, dedicato alla poetessa ebrea tedesca Else Lasker-Schuler della giovane regista milanese Miriam Camerini, sul palco insieme a Valeria Perdonò e Luca Piva.
A tracciare le conclusioni di un Moked denso di contenuti e di spunti innovativi, che ha profondamente coinvolto il pubblico intervenuto, è stato il direttore del Dec, rav Roberto Della Rocca. “In questi giorni abbiamo ascoltato ragionamenti molto coraggiosi, che però provenivano da persone equipaggiate dal punto di vista della conoscenza dell’Halachah e radicate nella tradizione, che per questa ragione possono permettersi di osare. Noi siamo abituati a ragionare in maniera escludente, in modo tale per cui di fronte a due tesi diverse, solo una è quella giusta. Ma spesso la ragione si trova da entrambe le parti. In Italia la situazione è resa ancora più difficile dal fatto che il nostro ebraismo è ostaggio della scelta pubblica di stare insieme per forza in un ebraismo unitario nonostante le differenze – ha sottolineato rav Della Rocca, concludendo però con un’avvertenza – La donna rappresenta il paradigma della diversità nell’ebraismo, religione della diversità. La diversità fa paura: il valore più grande è il coraggio di non omologarsi, anche di non omologarsi all’uomo, volendolo imitare. Perché se la nostra volontà è quella di rimanere all’interno dell’impianto giuridico dell’ebraismo, la regola va riconosciuta e non può essere superata”.
Rossella Tercatin – twitter @rtercatinmoked