Raccomandazioni

Non c’è giorno, si può dire, che sulla stampa italiana o straniera non appaia qualche monito, raccomandazione, consiglio, suggerimento, preghiera, minaccia, rivolti al governo israeliano, affinché si astenga dall’attaccare l’Iran, per neutralizzare (o cercare di farlo) il suo arsenale nucleare. Questi appelli, naturalmente, sono di varia natura, e li dividerei, essenzialmente, in tre gruppi.
Al primo vanno ascritti i soliti, innumerevoli nemici o antipatizzanti di Israele, espliciti o coperti, le cui motivazioni sono sempre le stesse. Israele sbaglia qualsiasi cosa faccia, figuriamoci quando usa la forza. Israele non si deve difendere, deve lasciarsi colpire, chi lo colpisce fa bene. Su questi signori, e i loro appelli, c’è ben poco da dire.
Ci sono poi i numerosissimi opinionisti, politici, osservatori, semplici cittadini che, in tutto il mondo, esprimono la loro contrarietà ad azioni di forza non (almeno non dichiaratamente) per ostilità antisraeliana, ma semplicemente in base a considerazioni di ordine politico generale, a difesa della pace e della stabilità internazionale. Un intervento militare, si dice, sarebbe di dubbia efficacia sul piano militare e devastante sul piano politico, incendierebbe la regione, costerebbe innumerevoli vite umane, indebolirebbe tutte le missioni di “peace-keeping” occidentali nelle aree islamiche, innescherebbe una spirale di violenza dagli esiti imprevedibili. Tutti argomenti sacrosanti.
Il terzo gruppo è quello dei sinceri amici di Israele, e di molti cittadini israeliani (la maggioranza?), i quali aggiungono, alle motivazioni del secondo gruppo, una più specifica preoccupazione per i gravi rischi che correrebbe lo Stato ebraico in caso di conflitto. Israele è in una condizione di isolamento, di debolezza diplomatica, non sarebbe in grado di affrontare da solo la prevedibile (ancorché ipocrita: molti governi arabi, come ha rivelato Wikileaks, in realtà, segretamente, non vedrebbero l’ora che attaccasse) andata di reazione mondiale. L’Iran, inoltre, è una grande potenza, attende l’attacco, ha preso tutte le contromisure, non si tratterebbe certo di un’operazione a sorpresa singola e relativamente semplice, come quella contro il reattore irakeno del 1981. Molti giovani soldati israeliani perderebbero la vita, i rischi per la popolazione civile sarebbero altissimi. Anche su questi argomenti, cosa si può obiettare? È tutto vero.
A fronte di questi appelli (vari nelle motivazioni, ma tutti convergenti nel messaggio), nessun consiglio di diverso tenore. Nessuno, di nessuna appartenenza, osa dire: Israele deve attaccare. Come si potrebbe, infatti, dire una cosa del genere? Chi mai ne avrebbe il coraggio?
Al posto dell’opzione militare, come sempre, si suggerisce la via diplomatica. Trattare, negoziare, imporre sanzioni internazionali. Una strada, che, però, ha ampiamente mostrato la sua assoluta, totale inefficacia. Le sanzioni, come sempre, al regime fanno un baffo, anzi lo ricompattano (è sempre stato così, da Mussolini a Castro a Saddam Hussein). E il negoziato con Teheran è sempre stato una partita truccata, come ha ben spiegato, ancora una volta, Fiamma Nirenstein, su il Giornale dello scorso 16 aprile: molti politici di spicco ed ex negoziatori iraniani hanno candidamente e orgogliosamente confessato, in pubbliche interviste, sulla stampa e in TV, che i negoziati servivano solo a guadagnare tempo, e che, mentre si negoziava, gli esperimenti andavano avanti a pieno regime. Nessun pudore, nessun imbarazzo, nessun timore di essere rimproverati da qualcuno o di nuocere al loro governo. L’Occidente è una tigre di carta, l’Iran lo sa, ed è normale che si sappia. Perché non dirlo, cosa c’è da temere?
Tutte le agenzie internazionali, intanto, confermano che, trattando e negoziando, l’Iran è ormai giunto al traguardo: tempo qualche mese, forse già in estate, avrà a disposizione la bomba atomica.
Di fronte a tale terribile minaccia, mai, assolutamente mai mi permetterei di suggerire a Israele di attaccare. Mi sentirei di farlo, eventualmente, solo se fossi cittadino israeliano, magari in età di servizio militare, e andassi al fronte di persona, o ci andassero i miei figli. E ribadisco di condividere in pieno tutte le argomentazioni sopra esposte riguardo ai rischi di una guerra. Alle quali aggiungo un’antica ammirazione per la civiltà persiana, che nessun Khomeini o Ahmadinejad riuscirà mai a farmi abbandonare.
Ma, per gli identici motivi, mai mi sentirei neanche di suggerire al governo israeliano di non considerare l’opzione militare. Mi sentirei di farlo, anche in questo caso, solo se vivessi in Israele, e se la possibile bomba atomica fosse destinata a cadere sulla testa mia e dei miei figli. E, in un immaginario modulo da inviare al governo di Israele, non figura solo l’invito a non attaccare, ma bisogna anche sbarrare, con una croce, almeno una di queste tre possibili ragioni dell’invito. Non bisogna attaccare perché:
a) non è vero che l’Iran è vicino al nucleare;
b) non è vero che intenda usarlo contro Israele;
c) non c’è bisogno di impedirgli avere il nucleare, e di poterlo usare contro Israele.

Francesco Lucrezi, storico