In cornice – L’urlo
Pagare 120 milioni di dollari (92 milioni di euro) per un’opera d’arte, in tempi di crisi come questi, pare un insulto. Però si tratta dell’”Urlo” di Edvard Munch, conosciuto davvero da tutti, molto più di “Nudo, foglie verdi e busto” di Picasso che deteneva prima il record in asta (82 milioni di euro). A dimostrazione di tanta notorietà, ecco i nomi dei tre grandi collezionisti di cui si parla come possibili acquirenti e che provengono da tre mondi ben diversi: Paul Allen (americano – cofondatore della Microsoft), Leonard Blavtanik (magnate russo-americano, a capo di un impero basato sulla proprietà di ricchi giacimenti in Russia), la famiglia reale del Qatar (che spende in arte occidentale e islamica). L’Urlo – dipinta in 4 versioni di cui 3 si trovano in musei a Oslo – è diventata un’icona mondiale perché ha ha tutto quel che l’arte moderna e contemporanea deve avere, cioè la capacità di colpire a fondo, di lasciare sgomenti, non di farsi ammirare con distacco. In quell’urlo, riecheggiano le tragedie familiari di Munch (la più che prematura morte della madre e di una sorella, la pazzia di un’altra, la morte di un fratello appena sposatosi e presto anche quella del padre), e la paura – sua e di tutti – di fronte alle incertezze di un mondo privo di punti di riferimento; è quello che Munch aveva percepito attraversando un ponte a Oslo, e che ha espresso in modo più che toccante.
Munch divenne noto grazie ai suoi committenti ebrei tedeschi e in particolare Walter Rathenau – politico e industriale fondatore dell’AEG – che finì ammazzato per strada nel 1922 da gruppi di estrema destra. Quando i nazisti salirono al potere, l’arte di Munch e di tutti gli espressionisti, venne considerata spazzatura, talvolta bruciata in piazza e sempre messa al bando dalle gallerie ufficiali. Chi ne era proprietario era malvisto. Fu così che l’allora proprietario del nostro “Urlo”, Hugo Simon – banchiere ebreo di Berlino – dovette nel 1936 darlo in deposito al museo di Zurigo e poi nel 1937 venderlo a Stoccolma, insieme a una settantina di altri dipinti provenienti da musei tedeschi. E’ allora che Thomas Olsen, il padre dell’attuale fortunato venditore dell’opera, ne entrò in possesso pagandolo due soldi. Certo quando i nazisti occuparono il paese e Munch si asserragliò a casa sua per impedire che portassero via le migliaia di opere che aveva nello studio, sempre Olsen, suo vicino di casa, ne nascose diverse nel suo fienile, dimostrando coraggio, e rendendo un gran servizio all’umanità. Ma ha proprio torto Rafael Cardoso, pronipote brasiliano di Hugo Simon, a dire che la vendita da Sotheby’s non è regolare e che Olsen non è legittimo proprietario?
Daniele Liberanome, critico d’arte