Antisemitismo e paraocchismo

Si parla molto, negli ultimi tempi – e, purtroppo, a ragion veduta – della recrudescenza dell’antisemitismo in Europa nel mondo, tanto che le dimensioni del fenomeno avrebbero indotto perfino le autorità europee a indagare su di esso, per misurarne l’estensione e la pericolosità, al fine di studiare possibili misure di contrasto. E non pochi interventi, su questo portale, così come sulla sua edizione cartacea, hanno offerto delle lucide, allarmate radiografie del pregiudizio antiebraico, considerato nelle sue odierne configurazioni e ramificazioni (di tipo politico, razzista, clericale, xenofobo ecc.). Nonostante la puntualità di tali analisi, resto comunque dell’idea che ogni tentativo di ‘catalogazione’ e ‘censimento’ dell’antisemitismo sia, in partenza, parziale e fallace, dal momento che cerca di fotografare un fenomeno che, da sempre, per sua stessa natura, è ambiguo, invisibile, sotterraneo. Di chi, oggi, in Italia, si potrebbe infatti dire, senza timore di smentita (o di condanne giudiziarie: vedere la vicenda Nirenstein-Vauro-Caldarola), che è antisemita? Chi è che dice apertamente “odio gli ebrei”, “morte agli ebrei” ecc.? C’è anche chi lo dice, purtroppo, ma è evidente che tali esplicite affermazioni – che, nel mondo islamico, non c’è bisogno di nascondere – circolano, da noi, quasi esclusivamente sul web, o nell’oscurità di ambienti ‘ghettizzati’ dell’estremismo di destra (e anche di pseudosinistra), e raramente vengono allo scoperto in ambito pubblico, sulla stampa cartacea o nel dibattito culturale e politico. Lo stesso vale per il negazionismo e il revisionismo, che hanno pericolosamente preso piede, arrivando perfino a penetrare in scuole e Università, ma restano tuttavia, grazie a Dio, almeno per ora, fenomeni marginali. Fuori dal ‘buio’ dei ghetti neonazisti o negazionisti, alla luce del sole, nella società civile, nella cultura, nell’opinione pubblica, nell’informazione, non c’è dubbio che l’antisemitismo, qui e ora, al 99 %, si cela nell’antisionismo. E qui, naturalmente, si pone l’eterno problema della distinzione tra la libera critica politica del governo di Israele – ovviamente, lecita, anzi salutare – e la delegittimazione globale dello Stato ebraico, del quale si auspica la distruzione – che sarebbe, essa sola, una forma camuffata di antisemitismo. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Anche in questo caso, ci dobbiamo chiedere: quanti, in Italia, dicono apertamente che lo Stato di Israele non dovrebbe esistere, o dovrebbe essere distrutto? Non sono molti. Quanti sono, invece, quelli che esercitano, con severità, la “libera critica”? Milioni, quasi tutti. Si dovrebbe forse impedirglielo? Dovremmo forse costringere tutti a elogiare il governo di Gerusalemme, qualsiasi cosa faccia? Dovremmo bollare quasi tutti quelli che criticano Israele di antisemitismo? Si tratta di domande retoriche, ma la seguente non lo è: cosa è che spinge tanti direttori di giornali, nel riempire le pagine degli esteri, a cercare notizie relative al Medio Oriente, con evidente preferenza rispetto ad altre aree, pur importanti, del mondo? Cosa li spinge a trascurare, nascondere, minimizzare qualsiasi cosa possa dare qualche ragione ad Israele, e a raccogliere ed enfatizzare tutto ciò che vada nella direzione contraria? Cosa li annebbia al punto da non vedere mai travi gigantesche, e sempre minuscole pagliuzze? Cosa li spinge a essere attratti dai torti (veri o inventati) di Israele come api dal miele, a cercarne le possibili ‘colpe’ con meticolosa, instancabile cura? E cosa, soprattutto, li induce a non scorgere il carattere assolutamente autogeno, autoreferenziale dell’ostilità antisraeliana, sulla quale qualsiasi eventuale comportamento virtuoso di Israele scivola come l’acqua? In altre epoche, l’ostilità antiebraica, com’è noto, aveva altre giustificazioni. E quasi tutti ne erano imbevuti. Tutti, per esempio, erano convinti che gli ebrei avessero, tutti insieme, ucciso Gesù. Come si sarebbe potuto individuare, allora, chi era antisemita? Lo erano tutti? O nessuno? Era il mondo di allora a essere, nel suo insieme, antisemita? Oggi, l’antisemitismo agisce in un altro modo, imponendo alla gente dei paraocchi, utili a nascondere la verità dei fatti, e a fare vedere, sempre e solo, le colpe di Israele. Ed è molto difficile, con questi paraocchi, esercitare una libera critica. Per questo, un ‘censimento’ dell’antisemitismo è pressoché impossibile. E può essere anche controproducente, dal momento che potrebbe dare un bel “bollino blu” di “non antisemita” a chi si impegna giorno per giorno, ora per ora, a spargere veleno contro la patria degli ebrei. Occorrerebbe quindi un nuovo concetto, una nuova parola. Proporrei ‘paraocchismo’. Quasi tutti gli ‘autisti’ dei nostri giornali supererebbero senza difficoltà il test alcolemico di antisemitismo. Molto più difficilmente quello di paraocchismo.

Francesco Lucrezi, storico