Eroi a pedali

Abituati a commentare quasi sempre brutte notizie, è con grande piacere che diamo segnalazione di un’iniziativa particolarmente lodevole, quale la recente discussione (lo scorso lunedì 20 marzo), presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Sudi di Teramo, di una pregevole tesi di Laurea in Sport e Politica, dal titolo Un ‘giusto’ in bicicletta: Gino Bartali tra eroismi e pacificazione (1940-1948), elaborata dalla candidata Marzia Teodori – che ha così conseguito la Laurea magistrale in Management dello sport e delle imprese sportive – sotto la guida del relatore, prof. Luigi Mastrangelo.
Nel lavoro viene ripercorsa l’intensa biografia umana e sportiva del campione, nato il 18 luglio 1914 a Ponte a Ema, vicino Firenze, le cui vicende vengono ripercorse, in particolare, negli anni del secondo conflitto mondiale, nei quali Bartali è impegnato in prima persona a difesa della persona umana, persino indossando – ben oltre le proprie convinzioni – la camicia nera come forma di garanzia per i rifugiati nel corso di perlustrazioni nazifasciste. Proprio questi gesti clamorosi rischiano di costargli la vita, visto che, una volta fermato dai partigiani, viene chiamato a rispondere di una camicia indossata per gli altri, e non per sé stesso.
Nel 1943-1944, nonostante le gare ciclistiche non si disputassero, Bartali continua a percorrere lunghi percorsi. In un periodo di carenza di carburanti, le gambe del grande ciclista risultano il migliore dei mezzi di trasporto per documenti e certificazioni, con la copertura perfetta di un atleta che stava svolgendo il suo duro allenamento. A beneficiare di questa coraggiosa e faticosa attività, anche molti ebrei, ai quali Bartali riesce a far avere lasciapassare e carte d’identità con le quali mettersi in salvo. Come ha sottolineato il relatore, Bartali era un nome inattaccabile, vista la sua popolarità e il suo seguito: interrogato più volte, riesce però a sfuggire alla carcerazione, anche perché gli inquisitori non possono non tener conto della popolarità e dell’ascendente dello sportivo, anche sui loro sottoposti.
Vengono poi esaminati i difficili anni del dopoguerra, quelli della rivalità con Coppi, ma soprattutto quelli dell’azione di pacificazione sociale che i successi di Bartali – specie quello al Tour del 1948 -favoriscono, contribuendo a placare animi esacerbati, come nei giorni successivi all’attentato alla vita di Palmiro Togliatti.
Il lavoro, sicuramente di alto profilo sul piano scientifico (tanto che ci sentiamo di caldeggiarne, presso i Colleghi teramani, la pubblicazione), si segnala per il suo grande significato etico, nel momento che tratta – in un contesto accademico di analisi culturale del fenomeno sportivo – di una vicenda storica e umana di grande importanza, rievocata e analizzata non perché specificamente connessa allo sport, ma in quanto collegata alla persona di un grande, amatissimo campione. Tutte le medaglie vinte da Bartali, a nostro avviso, non valgono la metà di una sola delle coraggiose azioni che, a rischio della propria vita, scelse di intraprendere, andando in soccorso di innocenti perseguitati. E la grandezza dell’uomo è ancor più esaltata dalla sua naturale modestia, che mai lo ha indotto (analogamente al suo collega di grandezza e umiltà, Giorgio Perlasca) a esibire tali benemerenze, che sono state conosciute e apprezzate dai più solo dopo la sua morte.
Un grazie convinto, quindi, a candidata e relatore, per avere reso onore a un grande italiano, e, con lui, al ciclismo e allo sport italiano in generale, ricordando come il loro “albo d’oro” possa vantare delle persone davvero speciali. E, anche, perché no, per avere tenuto alta la bandiera della bella e prestigiosa Università di Teramo, tristemente destinata, da un po’ di tempo, a essere menzionata soprattutto per squallidi episodi di ‘asserzionismo’ (quello che, come ho cercato di spiegare in un mio pilpul dell’ottobre di due anni fa, sarebbe il modo più corretto di chiamare il cd. ‘negazionismo’).

Francesco Lucrezi, storico