Qui Venezia – “La straordinaria umanità di nonno Adolfo”
La Comunità ebraica di Venezia onora questo pomeriggio la memoria di rav Adolfo Ottolenghi, rabbino capo della città lagunare per oltre un trentennio (1912-1944) e grande protagonista della vita culturale e religiosa dell’epoca, con una giornata di studio che approfondirà vari aspetti del suo lunghissimo mandato cui sono adesso dedicate due importanti opere appena entrate in circolazione: Scritti rabbinici (ed. Esedra) e La scuola ebraica di Venezia attraverso la voce del suo Rabbino (Filippi Editore Venezia) a cura di sua nipote Elisabetta Ottolenghi di cui pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione. L’appuntamento è a partire dalle 16.30 all’Ateneo Veneto dove, moderati dalla dottoressa Ottolenghi, interverranno il professor Giovanni Levi dell’Università Ca’ Foscari, il rabbino capo di Padova ras Adolfo Locci, lo storico Daniele Nissim, il presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana rav Elia Richetti e il presidente della Comunità ebraica di Venezia Amos Luzzatto.
Per il Giorno della Memoria di quest’anno ho sentito il dovere di ricordare la figura di mio nonno Adolfo Ottolenghi, rabbino capo della Comunità di Venezia, pubblicando alcuni suoi scritti fino ad ora dimenticati. Nel 1911 giunse a Venezia a soli 26 anni, dopo gli studi giuridici e rabbinici, da Livorno, sua città d’origine, insieme alla giovane moglie Regina Tedeschi, anch’essa livornese, che sempre lo sostenne e lo aiutò nel suo impegno quotidiano, anche in relazione al sopraggiungere della cecità; ricoprì l’incarico di vicerabbino prima, e di rabbino poi, a partire dal 1919 fino alla deportazione ad Auschwitz nell’agosto del 1944. Adolfo Ottolenghi, nelle “Relazioni scolastiche” inedite e qui presentate, ci offre la sua diretta testimonianza e la sua voce, di fronte ai problemi che assillano la prima metà del Novecento, dalla prima allla seconda guerra mondiale. Si tratta della serie completa delle relazioni di inizio o fine anno scolastico, che raccontano più di 30 anni di vicissitudini, speranze, soddisfazioni, e soventi disillusioni, legate al funzionamento della scuola elementare e media che così fortemente aveva volute per la sua Comunità. Queste pagine, scritte in uno stile sempre aulico e nobile, via via più asciutto e drammatico con l’avvicinarsi della tragedia finale, sono un quadro importante per le riflessioni che contengono sull’importanza di una vera educazione ebraica, sulla politica scolastica del Regno e sulla riforma Gentile. Lo stile dele relazioni appartiene ad una cultura di stampo ottocentesco, e inizialmente si era pensato di presentare soltanto una antologia dei testi, che spesso risultano ripetitivi; ma, nel corso della stesura e della preparazione alla pubblicazione, è stata presa una decisione diversa, in favore dell’edizione integrale, pensando di offrire questa testimonianza in particolare alla Comunità di Venezia, come messaggio di un rabbino che volle anteporre il ruolo di Maestro spirituale ad ogni altra cosa. Ogni anno, puntualmente, Adolfo Ottolenghi si rivolgeva alle famiglie dei suoi alunni, chiedendo di collaborare con la Scuola nell’educazione ebraica dei figli, e manifestando il suo sentimento di amarezza e sconforto di fronte all’apatia, alla indifferenza e irresponsabilità di tutti quegli ebrei che non sarebbero stati più in grado di difendersi in nome della propria identità. Fin dall’inizio del suo rabbinato egli reclamava la necessità di dover “imparare a essere ebrei” per non essere travolti dalla violenza e dai soprusi delle guerre: e questo fu il motivo ricorrente della lotta da lui intrapresa per creare “una scuola ebraica” che non fosse soltanto una scuola di catechismo ma una scuola culturale e spirituale, unica possibile difesa di sopravvivenza. Ottolenghi in questi scritti riconosce anche il merito di alcuni personaggi che lo affiancarono nella realizzazione del suo progetto: così che nel 1932 egli potà celebrare ufficialmente in un Convegno nazionale a Venezia la nascita della Scuola ebraica elementare, che sarebbe stata affiancata anche da altre organizzazioni e circoli privati e, dall’anno successivo, dal riconoscimento anche della Scuola media. Fu un grande successo, che premiò 20 anni di lotte portate avanti fin dal 1912 assieme alla presidenza di Alberto Musatti, e poi con la collaborazione dal 1932 con Giuseppe Musatti e Luigi Luzzatti, maestri laici di grande valore umano, culturale e spirituale. Così come vengono ricordati altri personaggi degni di memoria: in primis Dante Lattes, stimato per il suo rigore religioso e per l’impegno civile di fronte alla patria, portati ad esempio di vita e di dovere personale per i giovani scolari. Ottolenghi dedicò la sua vita a questo scopo: educare i giovani a diventare buoni cittadini e buoni ebrei, nella assoluta convinzione che “oggi non è sufficiente il sapere d’essere nati ebrei”, ed è per questo che “i nostri stessi padri, che hanno fatto questi Templi che noi ammiriamo, hanno costruito per ognuno, vicino, il Medraso”, cioè la scuola di studio, basilare per la crescità spirituale del buon ebreo e del buon cittadino. Ho voluto infine aggiungere alcune ultime lettere drammatiche di mio nonno, scritte nel 1943 e 1944, l’ultima sua testimonianza a noi pervenuta. Vorrei concludere con un pensiero personale: attraverso la lettura degli scritti di Adolfo Ottolenghi e attraverso questo lavoro di trascrizione e pubblicazione, ho potuto finalmente conoscere mio nonno, la cui immagine da sempre mi era pervenuta attraverso una retorica legata solo all’immagine del “Rabbino, buono, vecchio e cieco”. Invece ho scoperto molto di più: ho scoperto un uomo vissuto solo 59 anni; ho scoperto un uomo generoso, ed anche un uomo che sapeva lottare con veemenza per i suoi ideali; ho scoperto un uomo ancorato profondamente alle sue radici antiche, vicino allo spirito del Messianismo ebraico e vicino allo spirito dei grandi Profeti biblici. Un uomo che alla fine fu travolto dalla storia, e il cui ultimo messaggio, rivolto all’avvenire, ancora dice: “Ma occorre che gli uomini si rimettano a Lui, confidino in Lui, sperino in Lui”. “Iddio vi benedica e vi protegga, Iddio faccia splendere sopra di voi la sua grazia, Iddio vi conceda la Sua pace. Amen”. Il mio impegno, oggi, è quello di restituire la sua “voce” alla comunità e alla sua città di adozione: Venezia.
Elisabetta Ottolenghi – Italia Ebraica, giugno 2012