Un minhag da rispettare
Una vecchia barzelletta (ne esistono più versioni, ma la sostanza è la stessa) racconta di un nuovo rabbino che arriva in una Comunità e vede che a Shavuot durante la lettura dei dieci comandamenti alcuni dei presenti si alzano in piedi mentre gli altri restano seduti, gli uni rimproverano gli altri perché non si comportano con il dovuto rispetto in un momento così solenne, gli altri rispondono che i dieci comandamenti non sono diversi dal resto della Torah, da più parti piovono grida di “alzatevi!” e “sedetevi!” e in breve si accende una lite che coinvolge tutti i presenti. Il rabbino per mettere pace cerca di accertare quale sia effettivamente il minhag (uso) della comunità, e consulta un anziano molto autorevole, sicuro conoscitore di tutte le tradizioni locali: “Saprebbe dirmi che cosa prevede il minhag di questa comunità durante la lettura dei comandamenti?” “Ma certo! – risponde prontamente il vecchio, felice di poter sfoggiare la propria competenza – il minhag è così: metà dei presenti si alza in piedi, l’altra metà resta seduta e poi si litiga.”
Nella Comunità di Torino l’usanza prevede che per la lettura dei dieci comandamenti sia chiamato a sefer il Rabbino Capo, in modo che i presenti si alzino comunque per rispetto, risolvendo così a monte la questione se si debba stare in piedi o seduti. Qualcuno però deve aver pensato che in questo modo rischiava di andare perduto il minhag del litigio, e così da alcuni anni a questa parte le usanze comunitarie prevedono che si litighi (non durante la lettura dei comandamenti, ma in qualunque altra occasione) sulla persona stessa del Rabbino Capo. Correttamente, quindi, questo è stato l’argomento che ha suscitato le discussioni più vivaci nell’assemblea comunitaria di mercoledì 6: molti vorrebbero continuare ad avere Rav Birnbaum anche dopo il 2013, altri suggeriscono che si cerchi un nome condiviso da tutti; c’è chi ritiene (a mio parere con qualche ragione) che dietro alla questione del Rabbino Capo si celino in realtà due idee diverse di comunità, una più aperta ed inclusiva ed una più legata al principio “pochi ma buoni”; c’è chi invece, come il Presidente, non si riconosce in questa interpretazione dei fatti. Insomma, tutto secondo le consuetudini, se non per un fatto curioso: chi ha espresso stima per il Rabbino Capo e apprezzamento per le attività da lui organizzate è stato accusato a un certo punto di culto della personalità e di idolatria. Veramente il minhag prevede che si litighi, non che si offenda: non sarebbe opportuno rispettare le tradizioni locali senza introdurre inopportune variazioni a un uso (il litigio semplice) ampiamente consolidato?
Anna Segre, insegnante