tzitzìt…

La parashah di Shabbat scorso si conclude con il precetto dello tzitzìt, il terzo brano dello Shemà: “E sarà per voi come tzitzìt, e lo vedrete e ricorderete tutte le mitzwòt del Signore e le eseguirete; e non esplorerete appresso ai vostri cuori ed appresso ai vostri occhi, appresso ai quali voi vi prostituite.” (Bemidbar, 15; 39) Il commento di Rashì mette in relazione questa mitzwah con la tragica missione degli esploratori in terra d’Israele: “…e non esplorerete appresso ai vostri cuori e appresso ai vostri occhi…. come hanno fatto gli esploratori con la terra di Israele…”. Ma come si può impedire di seguire i pensieri del cuore e la vista degli occhi? Non diciamo spesso che la Torah si occupa essenzialmente delle nostre azioni e non dei nostri pensieri. Tuttavia, in questo caso troviamo una mitzvah che ci impone di controllare e di rinunciare volontariamente a pensieri e a idee che sono contrarie alla Torah. Se è vero che “sono i cuori che vanno appresso alle azioni” e non viceversa, e che dovrebbero essere le mitzwòt a forgiare il nostro modo di pensare, è altresì vero che in molti casi la nostra visione delle cose è influenzata dal nostro cuore. La maggior parte delle volte vediamo solo ciò che desideriamo vedere. Il motivo per il quale mettiamo i tefillin alla radice della nostra testa e non come è scritto “in mezzo ai nostri occhi” è perché dobbiamo guardare l’altro con la “testa” e non solo con gli occhi. Non è forse questo uno dei motivi per il quale si possono indossare i tefillin dal momento in cui vi è sufficiente luce mattutina con cui una persona può riconoscere il proprio prossimo?

Roberto Della Rocca, rabbino