Israele oltre i miti

Nel prendere spunto da un occasionale riferimento al fenomeno di Beppe Grillo, contenuto in un bell’articolo di Sergio Della Pergola, pubblicato sul numero di giugno di Pagine Ebraiche, ho svolto alcune considerazioni, sulla Newsletter dello scorso 6 giugno, su questo specifico argomento, senza commentare il complessivo contenuto del pezzo del demografo. Mi sono ripromesso però di farlo, perché Della Pergola affronta, nel suo testo, un problema di grande importanza, ossia quale possa e debba essere, da parte dei cittadini e degli amici di Israele, in tutto il mondo, un corretto approccio con la questione mediorientale e col fondamentale problema della difesa dell’immagine e della sicurezza dello Stato ebraico.
Nell’articolo, significativamente intitolato “Israele oltre i miti. Parliamone come di una cosa vera”, Della Pergola rimpiange un’epoca passata, nella quale “la società in Israele era più piccola, più ingenua e più pura, più semplice e più povera, più diretta e più generosa, ma sempre pronta a sorridere di se stessa”, e “dall’esterno si guardava di solito a Israele con simpatia, se ne sapeva pochissimo e ben pochi vi si erano recati”. Le cose sarebbero invece cambiate a partire dalla guerra dei Sei giorni, con la rapida crescita di un Paese più grande, più forte e più complesso, ammantato dal nuovo, ambiguo mito della “grande potenza militare”. Sostituita l’antica immagine dell’Israele “piccolo e virtuoso” con in nuovi stereotipi, non sarebbe però cambiata “la scarsa capacità di parlare di Israele come di una cosa vera”: infatti, sarebbe “rimasta quasi assente la capacità di parlare di Israele come si parla dell’Italia o di un altro Paese: un Paese con pregi e difetti, con partiti politici e lotte di potere”. E “quasi quotidianamente – osserva Della Pergola – ci tocca leggere sulla stampa le analisi acide e prevenute di certi nemici, ma anche le estatiche apologie di certi amici”.
Credo che tali osservazioni descrivano, indubbiamente, un dato reale, dal momento che è evidente che l’informazione su Israele appare quasi sempre condizionata e deformata da impostazioni ideologiche e atteggiamenti emotivi, che impediscono una descrizione neutra e distaccata dei fatti. E credo che nessun vero amico di Israele, che non sia ottuso o fanatico, sia contento di ciò. Parlare di Israele “oltre i miti”, descriverne i pregi e i difetti con franchezza e disincanto, come si fa per l’Italia o la Francia, senza l’ossessione della sicurezza, della guerra, dell’antisionismo ecc.; parlare di cultura, di rifiuti, di disservizi, di tasse, di giochi politici, di pettegolezzi vari… Come sarebbe bello! C’è una sola persona che non lo vorrebbe? Ma la questione è: lo si deve fare “perché non ci sono problemi più gravi”, o piuttosto “facendo finta che non ci siano problemi più gravi”? E coloro che parlano delle continue infiltrazioni terroristiche, dei reiterati progetti di rapimenti di soldati israeliani, delle campagne europee di boicottaggio di prodotti israeliani, della cultura dell’odio nei libri scolastici palestinesi, della minaccia iraniana ecc. ecc., lo fanno perché prigionieri di un “mito”, o perché a ciò indotti dalla realtà?
Quanto, infine, alle “analisi acide e prevenute di certi nemici”, e alle “estatiche apologie di certi amici”, non credo che possano essere poste sullo stesso piano, per una elementare questione di proporzioni. Le prime le conosciamo bene, sappiamo bene quali sono, quante sono. Ci sono giornali italiani che dell’aggressività antisionista hanno fatto una vera e propria ragione sociale, fra l’altro non limitandosi alla mera parola scritta, ma impegnandosi anche in un’attiva promozione e organizzazione di azioni ostili, tipo “Flotille” varie. Le “estatiche apologie”, invece, dove stanno? Quante sono? A mia conoscenza, in difesa attiva di Israele solo schierati soltanto alcuni siti web, in qualcuno dei quali, certamente, ci sarà anche qualche esagerazione. Non più di una dozzina, dei quali solo tre o quattro con una larga circolazione. Infinitamente di meno di quelli di segno opposto. Quanto ai telegiornali e alla carta stampata, Israele conta certo alcune firme autorevoli a proprio sostegno, quali Paolo Mieli, Pierluigi Battista e pochi altri. Persone, però, che – a differenza del partito opposto, tanto più forte e numeroso – si occupano di Israele solo saltuariamente (un’eccezione è data da Fiamma Nirenstein) e, soprattutto, non si abbandonano mai, secondo me, a “estatiche apologie”, limitandosi unicamente a dare una rappresentazione equilibrata dei fatti. Non voglio negare che ci possano essere degli “eccessi difensivi”. Probabilmente io stesso vi incorro. Ma mettere sullo stesso piano i due ‘eccessi’, mi sembra francamente, in considerazione dell’enorme differenza quantitativa, una forzatura.

Francesco Lucrezi, storico