Democrazia
L’esito delle elezioni in Egitto, con la vittoria dei Fratelli Musulmani nel più grande e importante Paese arabo, pare sancire definitivamente l’esito delle cd. “primavere arabe”, salutate dall’Occidente con pari dosi di entusiasmo e ingenuità. Com’è facile scambiare movimenti di popolo, piazze riempite di gente, slogan, grida e megafoni per richieste di democrazia. Com’è facile dare per scontato che chi si schiera contro un dittatore lo faccia in odio alla dittatura, e non, semplicemente, a “quella” specifica dittatura, di cui si sente vittima, o dai cui privilegi si sente escluso. Nessuno ricorda il Caligola di Camus? “Odio Caligola – dice uno dei congiurati -, e lo voglio vedere morto, ma, se fossi al suo posto, mi comporterei esattamente come lui”. Ma sono pensieri sgradevoli, più comodo fare conto che gli uomini siano ‘naturaliter’ buoni, virtuosi, pacifici, basta deporre i dittatori ed è fatta.
Al di là delle prime dichiarazioni tranquillizzanti del nuovo Presidente, non c’è dubbio che il nuovo Egitto ‘islamizzato’ rappresenta un’ulteriore, pesante ipoteca sul futuro del Medio Oriente, come lasciano ben intendere la gioia dell’Iran e le manifestazioni di giubilo di Hamas e di altre organizzazioni terroristiche. Al di là della questione della tutela, sul piano interno, dei diritti umani, della libertà di pensiero, della posizione della donna ecc. (tutte cose che lasciano alquanto indifferente l’opinione pubblica mondiale, che comincia ad aprire mezzo occhio, e sempre contro voglia, di se mai, solo al cospetto di fosse comuni, stragi di bambini ecc.), non c’è dubbio che, sul piano della politica estera, il Cairo si metterà di traverso a ogni seria lotta contro il terrorismo, sempre privilegiando il valore di fondo, molto sbandierato in campagna elettorale, dell’unità dell’Islam, in tutto il mondo. E quanto potrà reggere la pace – già fredda, freddissima – con Israele? Presumibilmente, almeno all’inizio, il governo egiziano si sforzerà di dare in pasto all’opinione pubblica nuovi segnali di inimicizia verso il “nemico sionista”, pur senza ancora giungere, per motivi di calcolo e opportunità, a una definitiva rottura. Ma, in caso di crisi, qualsiasi crisi, il nuovo Egitto sarà, sempre e in ogni caso, contro Israele, ancor più di quanto non lo sia già stato quello di prima.
Il mesto epilogo delle primavere arabe, soprattutto, dovrebbe chiarire al cosiddetto Occidente un vecchio, radicato equivoco, che vorrebbe far coincidere la democrazia con le libere elezioni. Fin da bambini ci hanno insegnato che i Paesi si dividono in due categorie, quelli dove si vota e quelli dove non si vota. I primi sono i buoni, i secondi i cattivi. E, sulla base di questo assunto, le elezioni vengono sempre salutate come un rinfrescante, salutare bagno di libertà.
Non è così, non è mai stato così. La democrazia non nasce, non è mai nata nelle urne. Si crea nelle famiglie, dove i bambini hanno dei genitori che educano, e non che comandano; negli asili, dove i maestri insegnano il rispetto per il compagno di banco; nelle piazze, dove si può parlare liberamente; nelle strade, dove non viene emarginato chi parla una lingua, o ha una faccia, diversa; nelle scuole, dove si trasmettono non delle verità, ma gli strumenti per formarsi delle idee proprie; nelle edicole, dove si può scegliere che giornale comprare, e dove i giornali non sono tutti uguali; nelle assemblee, dove non si ha paura di essere in minoranza; nei luoghi di culto, dove si spiega che Dio non teme chi non crede in lui, o ci crede in un modo diverso; nei luoghi di lavoro, dove si è apprezzati per quello che si fa, non per quello che si dice; nelle caserme, dove si ricorda che le armi non danno potere, ma responsabilità; nei tribunali, dove chi è accusato di qualcosa può far valere le proprie ragioni; nelle prigioni, dove chi ha sbagliato paga il suo debito, ma non viene schiacciato, e non attende il boia.
Senza tutte queste cose, le votazioni sono inutili, spesso dannose. E questo, ovviamente, non vale solo per l’Egitto.
Francesco Lucrezi, storico