Trieste – I 100 anni della sinagoga

L’appuntamento è di quelli storici. La sinagoga di Trieste, una delle più grandi d’Europa, festeggia questa domenica un secolo di vita. In occasione del centenario, la Comunità ebraica di Trieste, apre le porte al pubblico proponendo un calendario di eventi che coniugando storia, memoria e contemporaneo offriranno uno spaccato di grande suggestione. Momenti dedicati all’ebraismo triestino e nazionale e alla cittadinanza, nel segno del dialogo con la società che sempre ha contraddistinto gli ebrei giuliani.
“Caro presidente Salonichio, cari amici del Consiglio e della Comunità di Trieste – scrive in un messaggio d’auguri il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna – sarà per me un grande rammarico non poter essere presente alla cerimonia in considerazione della concomitante prima riunione di lavoro del nuovo direttivo UCEI a Roma. Colgo però l’occasione per testimoniare l’amicizia e la condivisione di questo momento di festa da parte di tutto l’ebraismo italiano che oggi come nel passato guarda alla vostra Comunità, alle idee e ai valori straordinari che da sempre proiettate non solo a Trieste ma in tutta la società italiana, con profonda ammirazione e gratitudine. La vostra gioia è la nostra gioia”
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Inaugurata nel 1912, la sinagoga di Trieste compie 100 anni. Nel 1903, quando è bandito il concorso, esistono in città tre “scole”, mimetizzate in edifici esistenti: Scola Piccola, per gli ebrei askenaziti, Scola Grande, di rito sefardita e askenazita, Scola Vivante, di rito sefardita. Grazie allo status di porto franco dichiarato dagli Asburgo nel 1719, all’Editto di Tolleranza del 1781 e, quattro anni dopo, all’apertura del ghetto, ebrei da tutta Europa convergono su Trieste per esercitare le loro attività professionali, commerciali, finanziarie, assicurative, oltre che intellettuali. Si aggiungono presto gli ebrei di Corfù che, grazie a un dialetto che mescola pugliese-veneto a greco ed ebraico, arricchiscono la liturgia ebraico-triestina. Nessuna ‘scola’ è sopravvissuta: l’àron di Scola Vivante è ad Abbazia, quello di Scola Grande a Fiume, quello di Scola Piccola a Tel Aviv. L’idea di una unica grande sinagoga risale al 1870 ma il progetto dell’ingegner Geiringer è accantonato fino al concorso del 1903.
Al bando sono allegati: la planimetria del luogo – il Borgo Franceschino – schizzi e sezioni degli edifici circostanti, indicazioni tecniche relative al sottosuolo, alle uscite di sicurezza, alla resistenza alle intemperie e al tempo. Si pensa insomma a un edificio monumentale, sicuro ed eterno. Massima libertà è lasciata ai partecipanti circa le scelte stilistiche e formali. 42 i concorrenti, da tutto l’Impero, le cui proposte, divise per stile – gotico, secessionista, orientale – sono oggi di ardua consultazione causa la disseminazione e spesso dispersione degli originali. Nonostante le 42 sedute, la giuria, composta da esponenti della Comunità ebraica triestina e dal direttore della Regia Accademia e Istituto di Belle Arti di Venezia, non è in grado di indicare un unico vincitore: come per tutti i grandi concorsi, i progetti sono esposti nel 1904 in una mostra al Ridotto del Politeama. Sorprendente la motivazione della fumata nera: l’inadeguatezza delle proposte alle aspirazioni moderne della Comunità. “Che cosa c’entra il medioevo col romanico e col gotico nella religione ebraica? Come col bizantino e col moresco? Se gli artisti avessero pensato alla meravigliosa capacità d’adattamento degli Israeliti e al loro grande amore per il moderno, non si sarebbero umiliati nell’imitazione, ma avrebbero acceso la loro fantasia alla creazione del novo…!”. Una comunità aperta, variegata e cosmopolita esige dunque un edificio linguisticamente innovativo, moderno e al passo con i tempi. Fallito l’incarico ai due architetti ungheresi favoriti dalla giuria, non resta che l’opzione per un architetto triestino. Quasi inevitabile che la scelta cada sullo studio Berlam, fondato da Giovanni Andrea nel 1847 e portato avanti dal figlio Ruggero e dal nipote Arduino fino al 1936: una vera dinastia, con all’attivo importanti incarichi professionali e ottimi agganci istituzionali.
Realizzata nel tempo record di quattro anni, la sinagoga di Berlam spicca nettamente su altri esempi coevi: è monumentale – l’altezza della cupola raggiunge i 30 metri e la dimensione è calcolata per mille persone – ma allo stesso tempo austera; denuncia all’esterno l’articolazione degli spazi interni; predilige volumi squadrati, seppur fortemente rastremati; adotta una decorazione ricca e preziosa ma non ostentata, a intaglio più che a rilievo; è rivoluzionaria infine sul piano tecnico e strutturale. Tre i corpi principali: l’avancorpo loggiato su piazza Giotti, con il grande rosone in pietra a forma di Stella di Davide – originalmente collocato sul fianco – che ospita l’Oratorio; il vano centrale, un possente cubo sovrastato dalla cupola, che si protende, all’estremo opposto dell’ingresso, nella zona absidale composta da un semicilindro che ospita l’Aron haKodesh, e da due parallelepipedi, coperti rispettivamente da una semicupola e da due cupolini; la torre a base rettangolare, infine, che sormonta l’ingresso principale su via Donizetti ma è invisibile all’interno. A dispetto degli anatemi contro i partecipanti al concorso del 1903, tacciati di ricorrere a “stili fortemente e inscindibilmente legati a edifici cristiani”, la sinagoga di Berlam è, a detta di Aulo Guagnini, autore di un dotto studio pubblicato dal Rotary di Trieste, un raro esempio di adattamento al culto ebraico di un impianto basilicale.
E’ ancora lui a riferirci le scelte degli architetti: “Si ricorse allo stile della Siria Centrale del IV secolo dell’era volgare, singolare fenomeno di ripullulamento delle antichissime forme assire di mezzo ai ruderi dell’arte romana…Il nostro è dunque uno stile fortemente influenzato dalle preesistenti forme d’una remota civiltà e dalle condizioni peculiari al suo paese d’origine”. Architettura siriana tardo-antica, dunque, la cui influenza sull’arte medioevale europea è sostenuta con convinzione dallo storico dell’arte Josef Strzygowski, ben noto ai Berlam, ma anche struttura romana nelle quattro grandi volte a botte su cui s’innesta la cupola culminante in un’apertura circolare.
Nel rispetto delle tre prerogative di ogni sinagoga: l’Aron haKodesh, orientato a est, decisamente ridondante nella struttura a baldacchino realizzato con preziosi marmi policromi, con porte di rame e bronzo e culminante nelle Tavole della Legge; la tevah e i tre grandiosi matronei, cui si accede da due scaloni anteriori. Sono però le innovazioni tecniche e tecnologiche, l’organizzazione del cantiere, la qualità delle maestranze, la polifonia dei materiali a fare della sinagoga di Trieste un caso paradigmatico, “uno degli esempi più rilevanti nella storia della tecnica edilizia italiana degli inizi del Novecento”. Se le strutture di fondazione sono calibrate per fronteggiare la natura argillosa del terreno, le piastre in calcestruzzo armato nelle murature, le travi che sostengono le gallerie dei matronei ma soprattutto la cupola, uno dei primi esempi in Europa a doppio guscio parabolico, richiedono, per il loro carattere pionieristico, l’intervento di maestranze bavaresi.
Esemplari le decorazioni, in materiali allo stesso tempo preziosi e “ingannevoli”: pietra bianca artificiale, stesa a intonaco sulla superficie muraria per l’esterno, stucco lucido e mosaico per l’abside, marmi per balaustre, podio e gradinate, pietre di taglio per portali e rosoni. E, per confermare il duplice richiamo alle origini orientali e alla patria d’adozione, il pregevole portale d’ingresso evoca sia il Duomo di Orvieto di Lorenzo Maitani sia un monastero armeno.

Adachiara Zevi, Pagine Ebraiche, Luglio 2012