Unanimità

Si è riunito domenica il nuovo Consiglio dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (UCEI), nella nuova versione allargata del «Parlamentino» degli ebrei italiani. Il Consiglio ha rieletto all’unanimità Renzo Gattegna presidente, premiando le sue capacità di mediazione e di inclusione, garantite anche, al momento delle elezioni, dall’alleanza «innaturale» tra le diverse anime della comunità ebraica romana.
​Sono contento della rielezione di Gattegna, e penso che la scelta politica che ne ha consentito il nuovo mandato – la coesistenza nella stessa lista di avversari storici dell’ebraismo romano, con tutta probabilità destinati a rimanere tali – abbia avuto il merito di dare continuità a una leadership seria e di favorire indirettamente l’emersione di forze nuove, rappresentate dalla lista tutta femminile di «Binah» .
Ma c’è una questione più generale che mi pare interessante. L’unanimità è un bene? Le«grandi coalizioni» sono un passo avanti o uno indietro? Il tema non riguarda ovviamente il piccolo mondo ebraico italiano, ma realtà assai più rappresentative: il Governo Monti è retto da una vastissima maggioranza «innaturale» imposta dall’emergenza economica, e anche in altri paesil’urgenza della crisi ha sospeso la normale dialettica tra forze politiche. Senza contare le pressioni delle istituzioni sovranazionali, che proponendo ricette necessarie e urgenti limitano nei fatti lo spazio della divisione e della discussione.
​Istintivamente parlando, ma forse anche ebraicamente parlando, l’unanimità non mi piace. Nasconde generalmente più insidie del confronto a viso aperto, sebbene a volte sia utile a smorzare toni che spesso tracimano nell’inciviltà. Ma è anche vero che ci sono momenti storici particolari, che richiedono soluzioni particolari. L’importante è che il tempo della sospensione sia breve, e che poi si torni a discutere. Continuando, anche in queste parentesi, a ragionare con la propria testa.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas – twitter @tobiazevi