Voci a confronto
Dall’agenda dei giorni correnti, ancora una volta segnata dalle ricorrenti preoccupazioni per lo stato dell’economia internazionale, prendiamo spunto per l’incipit facendo ricorso all’articolo di Alessandra Coppola pubblicato dal Corriere della Sera, dove a veloci pennellate si offre uno spaccato della crisi greca e dei suoi frutti velenosi. L’argomento è Alba dorata, il movimento politico della destra radicale, dichiaratamente ipernazionalista ma con una forte matrice neonazista, che nelle ultime elezioni si è assicurato una discreta pattuglia di deputati. Il rapporto che intercorre tra le sue fortune politiche nonché elettorali e le crescenti sfortune dei greci è direttamente proporzionale: al lievitare delle seconde si accompagna l’incremento delle prime. Il nesso si gioca sulla bufera economica e sociale che nell’ultimo anno e mezzo ha travolto l’intero paese, con il repentino inabissarsi del tenore di vita collettivo e l’immiserimento di una parte rilevante della popolazione. Il ritratto del rapporto che si è istituito tra quanti, e sono oramai moltissimi, ad Atene come in altri luoghi, non riescono più a sopravvivere decententemente e l’azione “sociale”, che il partito razzista di Nikólaos Michaloliákos svolge, in sostituzione delle istituzioni pubbliche che hanno tirato i remi in barca, è una chiara rappresentazione della natura del credito raccolto dalle organizzazioni estremiste. Oggi come ieri, in Grecia del pari a qualsiasi altro luogo, quando lo Stato deflette dal suo ruolo di protezione sociale fa sì che la collettività inesorabilmente sbandi, affidandosi a chi, non importa come e sotto quali vesti si presenti, sa offrire ad essa una qualche rassicurazione. Il pacco di pasta o la confezione d’olio, offerte gratuitamente, sono allora qualcosa di più di una regalia temporanea, istituendo semmai un rapporto di dipendenza, ma anche di gratitudine, del beneficiante nei confronti di chi parrà “non avere abbandonato” la popolazione al suo destino. Le riflessioni sulla natura di questo scambio, destinato presto a rivelarsi non solo ineguale ma manipolatorio e quindi ferino, non interessano a chi si sente lasciato a sé, potendo confidare solo sull’attenzione di un partito che non si offre agli elettori come organismo politico in senso stretto ma come il portatore di una visione del mondo alternativa ai “fallimentari” ordinamenti liberaldemocratici. La qual cosa permette ai razzismi, non solo come ideologie bensì come strumenti di riorganizzazione delle società, di reintrare trionfalmente dalla porta principale. Varrebbe la pena di dire che la storia nulla ha insegnato se non risultasse, tale modo di dire, già infondato in sé: i lasciti del passato non modificano le condotte dell’oggi, purtroppo. Dopo di che non è detto che quanto è avvenuto sia destinato a ripetersi. Piuttosto, è la fragilità degli assunti democratici, quando ad essi non si corredi un’azione di sostegno della coesione sociale, a dare di che riflettere. L’Unione Europa sembra peraltro volere rifuggire anche da quest’ultimo sforzo, almeno a giudicare dalla politiche recessive che sta sostenendo come unica via d’uscita dalla tormenta economica nella quale ci troviamo oramai dal 2007. Sul versante mediorientale perdura la centralità della crisi siriana, estremamente aggrovigliata e di cui oggi si dà cronaca parlando della battaglia di Tremseh, in prossimità di Hama, così come è resocontata da Neil Macfarquhard su la Repubblica, Umberto De Giovannageli per l’Unità e Giordano Stabile su la Stampa. In Egitto la presidenza di Mohammed Morsi sta facendo i primi passi misurando i contraccolpi delle sue scelte iniziali. Così Federica Zoja per l’Avvenire, Cecilia Zecchinelli su il Corriere della Sera, Giampaolo Pioli per la Nazione, Francesca Paci su la Stampa, Azzurra Meringolo per il Messaggero ma anche il Giornale che resocontano della prima missione dell’Amministrazione Obama al Cairo, un partner strategico per gli Stati Uniti. Le rassicurazioni, da entrambe le parti, non sono mancate ma è ancora troppo presto per potere dire – nel precario equilibrio dei poteri egiziani – se ad esse seguiranno politiche congruenti, essendo queste ultime legate al prosieguo di una transizione la meno dolorosa possibile. Anche qui il nodo critico è l’economia, su cui si sviluppa il confronto tra esercito e Fratelli musulmani. Gli obiettivi americani sono essenzialmente due, ovvero il garantirsi il ritorno dei militari ai loro ruoli di sempre (in quanto supervisori dello sviluppo nazionale ma anche garanti della perduranza del sistema di poteri affermatosi con il dopo Nasser, negli anni Settanta) e la certezza che la nuova leadership politica, di matrice islamista, rispetti gli accordi mediorientali, a partire da quello di Camp David, architrave dalla pace fredda, siglato quasi trentacinque anni fa. Obama può contare sul preponderante ruolo statunitense nel sostegno finanziario del paese e sulla necessità, per quest’ultimo, di superare il drammatico tornante economico vissuto da un anno e mezzo a questa parte. Non di meno giocherà a favore di una ragionevole evoluzione del quadro locale il fatto che la presenza saudita dietro ai movimenti salafiti, in azione in Libia come in Siria, oltreché un po’ ovunque in tutta la regione, rischia di pestare i calli a molti. La querelle scatenata dalla sentenza della Corte d’appello di Colonia, con la quale si definiva la circoncisione di un minore per motivi d’ordine religioso una violazione della sua integrità fisica, e come tale penalmente perseguibile, è oggetto anche oggi di alcuni articoli, come quello di Maria Serena Natale su il Corriere della Sera. Il rapporto tra stato di diritto, libertà di culto, pratiche che da quest’ultima derivano e tutela dell’integrità degli individui è estremamente difficile da articolare nelle società democratiche, laddove il nesso tra legge e tradizione viene rielaborato alla luce non solo di un lungo e ancora incompiuto processo di secolarizzazione, ma sulla scorta delle mutevoli idee che sono andate affermandosi della fisionomia e della dignità dell’essere umano. Entrano in gioco una pluralità di fattori che incidono direttamente nella definizione di quelle che sono le sfere di azione e di competenza del soggetto individuale così come nell’attribuzione delle prerogative da riconoscere alle formazioni sociali di cui questi è parte o nelle quali si riconosce. Un interrogativo simile è quello sollecitato dal problema della partecipazione (correlativamente, dell’esenzione) degli studenti ultraortodossi, membri della yeshivot, le scuole religiose, al servizio militare. Ne dà conto il celebrato (nel nostro paese) scrittore Abraham Yehoshua su la Stampa. La questione, si sa, accompagna il dibattito in corso in Israele. La sua rilevanza, come sempre accade in questi casi, va al di là della questione in sé, che pure è fondamentale, richiamando più in generale il problema della definizione di chi sia chiamato a decidere una volta per sempre su aspetti fondamentali della vita del singolo. Poiché il conflitto in corso, nel caso della circoncisione come in quello dell’arruolamento, rimanda a sottili ma fondamentali competizioni tra lo Stato, in quanto centro della produzione e dell’applicazione delle norme condivise, e le comunità di appartenenza. Le seconde, nella consolidata prassi della modernità giuridica, si risolvono nel primo, non potendo rivendicare poteri – e quindi comportamenti – che risultino in contrasto con la volontà collettiva di cui le amministrazioni pubbliche sono titolari poiché ultime depositarie. Tuttavia, questo assunto, considerato incontrovertibile e incontrattabile, pena altrimenti la decadenza della legittimità della giurisidizione pubblica, che è tale quando è unica nonché unificata, ricadendo sui individui diversi per provenienza nel medesimo modo, all’atto concreto si scontra con la permanenza di abitudini e atteggiamenti che sono parte imprescindibile delle identità. Il fatto è che molto spesso non sussiste una via di mezzo, un terreno di mediazione tra comportamenti antitetici. Interviene quindi il braccio di ferro tra ragioni diverse. Dopo di che l’evoluzione del diritto è anche e soprattutto il prodotto di quest’ultimo, fotografando, per così dire, non ciò è giusto in sé ma quanto è considerato accettabile nel momento in cui una norma si impone secondo il principio della comune condivisione. Un bel groviglio, anche questo, chiamando in causa il rapporto tra maggioranza e minoranze, questione indice nelle democrazie moderne.
Claudio Vercelli