Uno strano sintomo
Mi dispiace di ritornare sempre sugli stessi argomenti, e per di più in un momento in cui la tristezza per l’attentato di mercoledì (e anche un po’ di rabbia nel vedere come sui mass media italiani la notizia sia messa in secondo piano rispetto alle solite discussioni sullo spread o sulla politica nostrana) fa passare la voglia di pensare alle questioni interne delle comunità e dell’UCEI. Però proprio non ho potuto fare a meno di sorprendermi per l’eccezionale sproporzione nella giunta dell’Unione: una donna su nove (potremmo dire una su otto, contando che un rabbino in un contesto ortodosso non poteva che essere un uomo, ma potremmo dire addirittura una su undici, se contassimo i due invitati permanenti). Leggiamo che la proposta della composizione della giunta è “emersa dalle mediazioni fra tutte le componenti presenti in Consiglio”. Evidentemente le donne non sono considerate una componente a sé, e forse è giusto che sia così, anche se nel mondo ebraico di oggi esistono problemi specifici legati al ruolo della donna, in Israele ma anche in Italia (non a caso è stato proprio questo l’argomento del Moked primaverile), che una giunta con qualche donna in più avrebbe potuto sicuramente affrontare con più cognizione di causa. Non credo, comunque, che la soluzione starebbe nelle “quote rosa” obbligate. Il punto è un altro: la sproporzione, secondo me, va letta come il sintomo di qualcosa che non funziona. Perché l’ebraismo italiano elegge o nomina un certo numero di donne (circa un terzo) tra i propri rappresentanti ma poi, nel momento in cui deve scegliere otto persone per la stanza dei bottoni, tende automaticamente ad espellerle? Mi pare una tendenza strana, su cui vale la pena di riflettere.
Anna Segre, insegnante