Ooh, rabbia…
Inizi un nuovo percorso di studi e ti ripeti: “Questa volta posso presentare una nuova versione di me a persone ancora ignote”. Allora cambi taglio di capelli e decidi di essere una ragazza da giacca di ecopelle e vagamente graffiante. Quando ho iniziato Lettere, ho deciso di non presentarmi subito come di religione ebraica, ma di aspettare. L’aura di mistero si è schiantata quando una ex compagna di classe del liceo ha detto una frase della serie: “Sapete che se le lancio un oggetto di sabato lei non lo può raccogliere e tenere?”. A quel punto una dozzina di facce si è voltata puntandomi uno sguardo interrogativo e io ho cominciato a spiegare. Da quel momento i miei colleghi (come i compagni del liceo in precedenza) sono stati investiti da una infinità di nozioni di kasheruth, riti, digiuni e compagnia bella. Cecilia adesso potrebbe praticamente ripetere su un piede solo tutte le festività, Francesco sostiene imperterrito che leggo, ascolto canzoni, vedo film solo di artisti ebrei ma quando andiamo tutti a cena a casa sua non si astiene dal prepararmi un pasto speciale e Giulia si preoccupa di trovarmi un buon marito. Ma sappiamo che prima o poi la domanda arriverà. E proprio quando meno la aspettavo, lei ha fatto capolino. A una di quelle cene molto university chic in cui si ascolta musica alternativa, si finge di aver letto libri di spessore e si ride beatamente, come un fulmine a ciel sereno eccola: un university boy molto filosofico e riccioluto mi chiede: “Che ne pensi della terra di Sion?”. Già chiamare Israele ‘la terra di Sion’ con una inarcatura del sopracciglio indica una punta di faziosità. “Ohh rabbia” direi se fossi Winnie the pooh alle prese con il miele. Eccola, prepariamoci spiritualmente, memorizziamo date e dati storici e cominciamo. La domanda anima inizialmente un po’ tutti gli invitati, ma con il passare del tempo rimaniamo solo io e lui. Ed è terribile, perché la testa si surriscalda e le guance avvampano. Le mie ovviamente, lui è assolutamente serafico. Gli altri osservano impettiti noi due sul ring che sembriamo due galli in combattimento. Poi però lui sigilla la fine del certamen con una frase: “Tanto a me non frega nulla” e mi rendo conto che è assolutamente così. Io ho aumentato la frequenza cardiaca, ho fatto impennare la pressione e lui l’ha vissuto come un puro esercizio di retorica. Io sembravo una concorrente dell’Isola dei famosi che impazzisce per il poco cibo e lui era un raffinato sofista. E allora mi chiedo: “Non sta diventando una moda? Non è una deformazione tipica del pensiero occidentale che porta alla necessità di un dualismo: del giusto e dello sbagliato, del mondo delle idee e del materialismo, dei buoni o cattivi? Non è che forse avere una causa da portare avanti, un pensiero ben definito rassicura chi si trova nell’epoca dell’incertezza?” Lui è felice come una pasqua perché è dalla parte della giustizia e della rettitudine e attaccando Israele si sente un uomo migliore (per non parlare della frase ricorrente “Proprio voi che avete sofferto tanto poi avete un comportamento fascista”) e io devo giustificarmi e dimostrare di essere una brava persona. Tanto a lui “non frega poi nulla”. La mia pressione però non accenna ad abbassarsi. La cosa più divertente è che poi la tensione viene stemperata da un altro che dice qualcosa totalmente fuori luogo e finalmente il discorso si sposta alle tematiche universitarie più disparate. Ma, “ohh rabbia”, lo so che prima o poi qualcun altro mi chiederà della terra di Sion avendo già una propria risposta irreprensibile.
Rachel Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2