Sull’antirazzismo
Perdonatemi l’audacia. Penso che l’intervista domenicale di Alain Finkielkraut sia profondamente sbagliata. A partire dal titolo, “Questo antirazzismo mi fa paura”. Sintetizziamone i concetti fondamentali: siamo nella dittatura del “politicamente corretto”; l’antirazzismo impedisce di riconoscere il fondamentalismo islamico; l’Europa non vuole riflettere sulla propria identità e noi tutti siamo dunque destinati a perderci.
Partiamo dall’ultimo punto, l’unico con cui sono d’accordo. Esiste in effetti un deficit di elaborazione sull’Europa, sul senso, sulla missione e sul destino dei popoli europei. Non so se questa mancanza sia di per sé sintomo di declino. Ma, se non riusciamo a trovare ragioni di fiducia nel futuro e di rafforzamento dei vincoli europei, che cosa c’entra l’antirazzismo? E che cosa c’entra l’Islam?
Veniamo all’antirazzismo. Secondo Finkielkraut la reazione all’attentato di Tolosa è emblematica. Dopo una prima pista di matrice neo-nazista, quando si è appresa l’identità dell’attentatore “la grande preoccupazione – anche legittima – è stata di non fare generalizzazioni pericolose”. E poi: “L’antisemitismo cresce e, se l’immigrazione continua così, si amplificherà ancora”. E quale sarebbe la soluzione? Dichiariamo guerra all’Islam? Chiudiamo le frontiere? Facciamo finta di ignorare che sull’altra sponda del Mediterraneo l’età media è sui 25 anni?
Infine, il “politicamente corretto”. Ne abbiamo già parlato varie volte, perché il tema mi sta molto a cuore. Nella terribile estate del 2009 il Governo Berlusconi votò i respingimenti delle barche provenienti dalla Libia (ricordiamocene, al momento del voto, nella scelta dei nostri parlamentari). Con le dichiarazioni trionfanti di Maroni e l’approvazione della legge, si levò un moto di protesta diffuso che anticipò le sanzioni europee giunte nel 2011. Anche allora si parlò di “dittatura del politicamente corretto”. Ma la questione è semplice. Nel 2009, era davvero il “politicamente corretto” a prevalere, oppure si affermava tristemente il primato dell’illegalità e dell’ingiustizia? È più “dittatore” un articolo di protesta o le vite spezzate grazie a quella legge? E oggi, conta più il “politicamente corretto” o il fatto che le nostre strade, i nostro quartieri, i nostri amici, siano ogni giorno più razzisti?
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas – twitter @tobiazevi