Voci a confronto

E infine ci siamo noi, cittadini democratici e progressisti che, giustamente, scendiamo in piazza per protestare contro la politica di Israele nei territori occupati, ma che al cospetto della carneficina in corso in Siria non organizziamo nemmeno una timida dimostrazione, eccezion fatta per qualche corteo di sparuti gruppi di esuli siriani. Eppure il numero delle vittime non ha uguali in Medio Oriente. Giusto o sbagliato che sia, il messaggio è semplice e chiaro: chiediamo giustizia per gli arabi e protestiamo solo se a massacrarli sono gli occidentali e gli israeliani. Se invece li massacrano altri arabi, allora non facciamo una piega.” Vale la pena di iniziare questa rassegna stampa con la citazione di un nemico giurato di Israele e di un idoleogico antioccidentale come Robert Frisk (Il fatto) perché ammette per una volta la dinamica dell’informazione e della politica “democratica e progressista” sul Medio Oriente.

E infatti basta leggere Buck e Dryer sul Financial Times o Zecchini su Le monde per trovare la solita complicità con i deliri palestinesi che accusano con tono ricattatorio, il candidato repubblicano alla presidenza Usa di “danneggiare gli interessi americani” (cioè di fare loro i danni, magari con un po’ di terrorismo) pere aver detto che Gerusalemme è legata al popolo ebraico e capitale di Israele. Nella stessa serie va letto l’articoplo di Janicki Cingoli su Europa, in cui incredibilmente si rimprovera a Israele non solo la crisi delle trattative voluta con determinazione dall’Autorità Palestinese, ma anche lo stato di “stallo” ovvero la mancanza di una “primavera palestinese”, il che significa in sostanza che non vi sono scontri gravi, stragi e massacri; ma anche che le varie fazioni palestinesi “non hanno il coraggio” di prendere l’iniziativa, non diciamo di riavviare le trattative, ma nemmeno di fare le elezioni municipali, “per il timore di presentarsi divisi” o addirittura “di vincere”. E naturalmente per i “democratici e progressisti” la colpa anche di questo è di Israele, o almeno di Netanyahu.

La stampa italiana oggi non si occupa quasi di Israele, distratta dalle vicende siriane (su cui consiglio di leggere Micalessin sul Giornale e Carlo Panella sul Foglio) e dalla prossima battaglia di Aleppo e dalla vicenda del carabiniere rapito in Yemen. Fa eccezione come al solito Giulio Meotti, oggi senza dubbio il migliore, il più informato e il più attento dei giornalisti italiani su Israele, con un pezzo di analisi strategica sul Foglio.

Fra le altre notizie, Avvenire riporta il progetto di un convegno a Roma a settembre per ricordare Raul Wallemberg, che salvò migliaia di ebrei durante la Shoà, Gianni Tognolo sul Corriere fa una ricostruzione – diciamo – assai approssimativa della storia del debito risalendo fino alla Torah. Un tema che certo non hanno inventato gli ebrei, ma che sempre ci viene appiccicato addosso.

Ugo Volli