Voci a confronto
La notizia del giorno è la lettera inviata, tramite canali diplomatici, dal presidente egiziano Morsi al presidente israeliano Peres; una breve del Corriere la esalta con parole come: “mano tesa ad Israele da parte di Morsi” e solo alla fine cita la precedente inviatagli da Peres al momento dell’elezione, per di più dimenticando la seconda inviatagli più recentemente in occasione dell’inizio del ramadan. Non sembra un buon metodo di informare da parte del primo quotidiano italiano. Perfino Michele Giorgio riferisce delle due lettere di Peres, anche se poi si lascia andare a parole di riconoscimento dell’esistenza di Israele da parte dei Fratelli Musulmani e di un loro invito alla moderazione fatto ai capi di Hamas. Aggiunge Giorgio che Morsi dovrà prestare attenzione massima solo ai problemi interni del paese, dimenticando che l’esperienza insegna che, proprio per coprire i momenti difficili interni si è preferito, nel passato, agire contro il nemico sionista.
Nessun giornale italiano riporta che in Egitto si nega che tale lettera sia stata scritta, come è ampiamente riportato dai media israeliani.
Come osservava ieri Ugo Volli, nella stampa di casa nostra la visita del candidato repubblicano Romney in Israele ha avuto piccolissima eco; oggi non se ne parla più, ma lo fa un articolo del Wall Street Journal. Dopo aver ricordato la dura reazione palestinese alle parole di Romney, l’articolista osserva che, in campo democratico, si ricorda un Carter che considerava Israele stato di apartheid. Più sfumata, almeno fino ad un’eventuale rielezione, è la posizione di Obama, che, nei momenti del bisogno, compie gesti e pronuncia parole di amicizia verso Israele. Più che la vicinanza spirituale a personaggi come il reverendo Wright, il rabbino di estrema sinistra Wolf o il professor Khalidi, la sua posizione sarebbe dettata dal considerare intimamente che Israele occupa la terra d’altri, controlla i soldi d’altri, gestisce i diritti d’altri; Obama vorrebbe rivedere Israele, membro dell’Internazionale Socialista, tornare, in tutti i sensi, alla situazione pre ’67. Al contrario Romney crede intimamente che Israele si è creato il proprio successo con le proprie mani, così come i palestinesi si sono creata la loro difficile situazione attuale.
Due articoli sul Figaro ritornano sulla morte di Arafat; in uno la vedova Suha, in un’intervista, si presenta come la brava vedova e madre, un po’ ingenua, che ora si è decisa ad intervenire per rispondere alle sollecitazioni di tanti amici. Nell’altro articolo si evidenzia che tracce di polonio sono facilmente riscontrabili in natura, e se a distanza di tanti anni queste sono ancora riscontrabili sugli indumenti intimi e sul pigiama, significa che al momento della morte queste sarebbero state 500.000 volte più forti. Ma ciò avrebbe comportato una forte anemia che gli esami ematici dell’epoca non hanno riscontrato, così come non sono stati evidenziati problemi midollari che non avrebbero potuto mancare. In Italia riprende questo tema E. St. su La Stampa.
La settimana scorsa elogiavo il coraggio di Cremonesi, inviato in Siria, e, dalla lettura dei quotidiani di oggi, lo stesso coraggio va riconosciuto a Domenico Quirico (La Stampa) e, soprattutto, a Daniele Ranieri. Sul Foglio Ranieri illustra dal vivo una situazione che ricorda l’armata Brancaleone: se un ribelle si accorge di avere la propria pistola inceppata, cerca di rimetterla in funzione agitandola e cercando di sparare fuori del finestrino dell’auto che intanto sta guidando in mezzo a persone e cose. Se si incontra una casa scoperchiata, non si deve pensare subito ad un bombardamento effettuato dai velivoli di Assad, ma anche alle bombe magari esplose anzitempo mentre venivano maneggiate senza perizia. Il nord contadino sembra essere schierato comunque contro il regime, indifferentemente dal credo delle famiglie, come reazione ad una pesante interferenza del regime nella vita contadina. Infine, in questo interessante articolo pieno di verità ignote si legge che quando i ribelli hanno bisogno di aiuto per compiere una azione complessa, chiamano gli uomini di al-Qaeda che, ben organizzati, sono in grado di compiere vere azioni militari. Anche M. Bernabei su Rinascita scrive che al-Qaeda è l’unica forza organizzata in Siria con forze arrivate da paesi stranieri con l’intento di creare uno stato islamico e non uno stato siriano. Al Cairo l’anziano al-Maleh è stato incaricato di formare un governo provvisorio, ma alcune fazioni (Gian Micalessin sul Giornale) gli hanno già opposto il proprio rifiuto. L’altro inviato italiano, Domenico Quirico, racconta le scene quotidiane che si vedono nel grande ospedale di Aleppo dove si vive e si muore nelle condizioni più drammatiche per tutti, medici (coadiuvati da veterinari), feriti e semplici rifugiati. Discutibile appare quando afferma che i ribelli non combattono un jihad e fanno festa agli occidentali. Paolo G. Brera su Repubblica scrive che l’Assemblea generale dell’ONU, e non il Consiglio di Sicurezza, si appresta a votare documenti che non possono essere impediti dal veto russo e cinese, ma che non avranno potere coercitivo. Brera aggiunge che anche a Damasco si sta ricominciando a sparare. mentre tutta la popolazione civile è rimasta senza più nulla da mangiare e senza la possibilità di fuggire. Possibilità di fuga che, per i disperati che sono riusciti a raggiungere la Turchia, viene ora resa ancor più difficile, come scrive Mirko Molteni su Libero, dalla barriera fatta di reticolati e telecamere che la Grecia sta erigendo sul confine con la Turchia europea.
E’ sempre difficile comprendere a caldo la corrispondenza tra le parole dei media ed i fatti reali; ieri il Tg della RAI ha intervistato la madre del carabiniere rapito in Yemen che ha negato che la fidanzata dell’italiano abbia ricevuto sms, ma oggi questo viene tranquillamente scritto da Gianandrea Gaiani su Libero che si domanda anche come mai un responsabile della sicurezza della nostra ambasciata andasse in centro città da solo (a fare shopping?).
Da seguire nei prossimi giorni la notizia scritta su Tempo da Mau. Pic. che vorrebbe il capo dell’intelligence saudita, nominato appena il 19 luglio, ucciso da un commando forse siro-iraniano.
Pio Pompa, raccogliendo come spesso fa informazioni confidenziali, scrive sul Foglio che gli atleti libanesi, protetti da Hezbollah, che hanno rifiutato di allenarsi in prossimità degli israeliani, saranno premiati al loro ritorno in patria; nell’articolo scrive anche, sempre parlando di Hezbollah, che il video della cattura dei due sergenti israeliani di pattuglia presso il confine libanese, avvenuta nel 2006, è stato tagliato nelle scene che mostrano l’uccisione a sangue freddo dei due uomini feriti.
Infine Elena Doni su l’Unità dedica un articolo ad un’orchestra di giovani palestinesi che sta compiendo un tour in Italia; il titolo “Note di pace per resistere” preannuncia parole che sarebbe facile poter condividere se questa fosse la realtà sul terreno. Nel testo si può leggere, a proposito degli orchestrali: “fino al 1948 le loro famiglie vivevano in Palestina”. Queste parole hanno oggi un significato politico che non era corrispondente alla realtà di quel periodo storico.
Emanuel Segre Amar