Il tema di David Bidussa
Il brano tratto dal volume di Hannah Arendt La banalità del male che descrive la scena della conferenza di Wannsee svoltasi il 20 gennaio 1942, in cui è formalizzata la decisione di procedere alla soluzione finale, contiene varie indicazioni. Prima di tutto il titolo. Nella traccia è specificato non solo il libro da cui il brano è ripreso, ma anche il titolo del paragrafo. Perché Arendt chiama quel capitolo “La conferenza di Wannsee, ovvero Ponzio Pilato”? Arendt lo spiega nel paragrafo che segue il testo scelto dall’esaminatore riportando le parole di Eichmann. “In quel momento mi sentii una specie di Ponzio Pilato, mi sentii libero da ogni colpa. Chi era lui, Eichmann, per ergersi a giudice? Chi era lui per permettersi di ‘avere idee proprie’? Orbene: egli non fu né il primo né l’ultimo ad essere rovinato dalla modestia” (p. 122). Il tema dunque non è solo cosa succede a Wannsee il 20 gennaio 1942, ma come può accadere che la decisione di far morire non faccia scandalo. A Wannsee non viene deciso come si muore, ma viene sostanzialmente ratificato chi muore e chi deve morire, definendo il modello di albero genealogico che separa gli ebrei dai “mezzi ebrei” per i quali è prevedibile la sterilizzazione o, al più, la lenta inclusione nelle fasce inferiori della gerarchia razziale. In altri termini Wannsee allude alla fisionomia che l’Europa – e possibilmente l’intero pianeta – dovrebbe assumere nel progetto nazista una volta finita la guerra. Una potenza decisionale enorme, ma che avviene in una dinamica “burocratica”. Nessuno a Wannssee si preoccupa di costruire la macchina: la macchina inizia a lavorare come “da sola”. In realtà non è un processo automatico. Cosa lo presiede? Due fatti. Il primo è lo sterminio di massa. Un atto che è conseguenza di molti atti, compreso il fatto che esso è avvenuto sotto gli occhi di molti, e anche in conseguenza dell’indifferenza di molti. Ridurre gli stermini alla decisione burocratica di quell’atto è come equiparare l’eliminazione di milioni o di centinaia di migliaia di persone. Gli stermini pianificati sono atti che tutti devono vedere, tutti devono sapere, e nel corso dei quali è imprescindibile per i perpetratori avere il controllo della situazione, sapere quanto consenso si ha e soprattutto quanta “solitudine” contorna le vittime prescelte. Le quali possono essere sterminate proprio in conseguenza della loro solitudine e della loro condizione di abbandono e d’indifferenza da parte di molti di coloro che li circondano. Gli stermini non sono equivalenti alla decisione di fare un attentato anche terribile da parte di un nucleo di terroristi: una decisione presa in luogo segreto; in condizione di clandestinità; la cui prima preoccupazione è che nessuno possa né vedere né ascoltare; pensata per stupire gli altri affinché riconoscano la bravura degli ideatori. Il secondo fatto è la banalità della decisione. Nel testo della sua deposizione nei mesi dell’istruttoria, Adolf Eichmann così descrive l’evento Wannsee: “Heydrich voleva mostrare che il suo potere era aumentato ed era diventato il padrone di tutti gli ebrei. Io partecipavo per la prima volta a una seduta di alti funzionari e segretari di stato e notai come tutto si svolgesse con grande gentilezza e amicizia. Poi fu offerto del cognac e la riunione terminò. Questa fu più o meno la conferenza di Wannsee” (riportato in Sergio Minerbi, Eichmann. Diario di un processo, Luni 2000, p.47). Di tutta la riunione Eichmann ricorda sostanzialmente il cognac e un clima cordiale. Si potrebbe dire di convivialità. Questo dato può infastidire un lettore sensibile. Ma appunto questo fatto ha un valore altamente significativo e non sminuente: Wannsse più che un evento in sé è una procedura di passaggio. Si potrebbe esser indotti a ritenere che ciò diminuisca la dimensione del terrore. E’ vero esattamente l’opposto. Proprio per questa sua apparente insignificanza, Wannsee costituisce l’atto di accusa più patente a un meccanismo culturale e politico. Tuttavia, nel testo di Arendt il problema non è lo sterminio (e qui l’estensore della traccia ha decisamente sbagliato testo, avrebbe avuto ragione, per esempio, se avesse proposto un brano dal saggio di Raul Hilberg La distruzione degli ebrei d’Europa). Quello della Arendt è un testo su come un individuo, che è stato un attore strutturale dello sterminio, ripensa a quell’atto venti anni dopo e come una generazione, che è figlia di coloro che sono sopravvissuti a quell’atto, lo ascolta, su che cosa si sofferma, che cosa memorizza o cosa non coglie e perché. La scena di Wannsee, non crea la storia, è un rito di passaggio. E lo è anche nel racconto di Eichmann. Non solo: è un rito che è amministrato da un impiegato. Un atto terribilmente umano e non orribilmente extra-umano. Lo gestisce un burocrate medio. Per l’orgoglio dell’animale-uomo essere stati dominati da uno scemo è, probabilmente, la sconfitta più cocente e forse, ma non vorrei essere troppo ottimista, l’antidoto più efficace, per prevenire il suo ripetersi. Alle volte anche l’orgoglio può aiutare. Concludo “lo sterminio degli ebrei pianificato e realizzato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale” è stato possibile per il ruolo fondamentale svolto da un mediocre. La storia, molto spesso, non la fanno i “grandi”, ma “i piccoli”. Non è detto che sia una fortuna come si ricava “prendendo spunto dal testo di Hannah Arendt”.
Pagine Ebraiche, agosto 2012