…E.T.
Tutti ci ricorderemo sempre di E.T. la creatura che unisce in sé la simpatia, e l’estraneità di un alieno che non deve fare paura, ma restare diverso, lontanissimo.
Spielberg racconta spesso che per realizzarlo, Carlo Rambaldi aveva unito i volti di Einstein e di Hemingway. Un bambino con un volto segnato dal tempo, come quello di un vecchio, che non doveva fare paura. Un volto alieno, e allo stesso tempo arcaico.
Rambaldi ha sempre negato e diceva che si era ispirato al muso di un gatto himalayano visto di fronte e a un vecchio quadro dipinto in gioventù. “Un dipinto cubista, dove avevo raffigurato delle lavandaie con il collo allungato”.
Non sapremo mai se l’extraterrestre più famoso del mondo del cinema risulta figlio di un gatto e del cubismo italiano o se, invece, è la somma di tanti altri volti noti dove vecchiaia e espressione infantile si incrociano o coabitano.
Ma in ogni caso risulta sicuramente l’essere meno alieno che il cinema ci abbia proposto e che la cultura abbia prodotto.
E’ così che abbiamo imparato che gli estranei non sono di per sé i nemici.
Grazie Carlo.
David Bidussa, storico sociale delle idee