Aleppo svela il suo codice segreto
Da mesi la battaglia che sta sconvolgendo la Siria ha trovato uno dei suoi teatri più aspri ad Aleppo, nell’antico centro che per il suo valore culturale l’Unesco ha dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità. Nella città della Siria settentrionale, per secoli uno dei principali scali commerciali dell’area mediorientale, la comunità ebraica custodì gelosamente il prezioso manoscritto destinato a ispirare Maimonide, il famoso Codice di Aleppo. Al libro di Matti Friedman ispirato alla sua misteriosa vicenda, Pagine ebraiche dedica la sezione di cultura del numero di settembre attualmente in distribuzione.
Il Dan Brown del caso lo abbiamo, si chiama Matti Friedman. Magari un produttore milionario ingaggerà il solito Nicholas Cage/Harrison Ford/Tom Hanks nel ruolo dell’investigatore a spasso nel tempo. Perché il Codex Aleppo, il codice più importante dell’ebraismo, ha tutti gli ingredienti per conquistare gli appassionati del settore: una città antica e travagliata, Aleppo, ora cuore della ribellione contro Assad. La nascita di Israele con le conseguenze che ne derivano e un grande protagonista che di storie complicate se ne intende: il popolo ebraico. Tutto con una spruzzata di misticismo, paura, diavolerie e credenze maturate nel tempo, come se il tempo potesse aggiungere oltre alla coltre di polvere una patina di magia. Il Codice di Aleppo è un testo masoretico compilato da un gruppo di saggi guidati dalla famiglia Ben Asher, è il più antico, completo e accreditato testo della Bibbia ebraica e si trova attualmente all’Israel Museum di Yerushalaim. Ma ritorniamo ai Ben Asher: nel 930 vengono compilati ventiquattro libri sacri e il Codex, che da Tiberiade viene portato a Yerushalaim. Nel 1099 durante la crociata guidata da Goffredo di Buglione il codice viene preso e torna grazie al riscatto pagato dalla fiorente comunità ebraica di Fustat, vicino al Cairo. Nel dodicesimo secolo Maimonide se ne serve per il suo Mishne Torah e nel quattordicesimo secolo un suo erede si trasferisce ad Aleppo e lo porta con sé. Per seicento anni il codice resterà nella città siriana in una piccola cripta scavata nella roccia e miti e misteri cominceranno asbocciare e fiorire numerosi. Se una donna guardava il testo poteva rimanere incinta, ma la vera preoccupazione che suscitava un timore reverenziale in tutti gli ebrei di Aleppo riguardava la maledizione. E qui qualche editore o produtture drizzerà le antenne: perché chiunque rubi o venda il manoscritto incorrerà in una terribile maledizione. Pensavamo di esserne esenti, ma anche noi abbiamo il nostro personale Il nome della rosa. L’avvertimento minaccioso al riguardo si può trovare anche all’inizio del codice stesso. Ma come arriva il prezioso Codice di Aleppo in Israele? Perché mancano duecento preziosissime pagine, circa il 40 per cento del corpus? Sono state rubate? Il ladro incapperà nella maledizione? Queste e altre domande sono il punto di partenza di Matti Friedman, l’autore di The Aleppo Codex con l’evocativo sottotitolo: A True Story of Obsession, Faith, and the Pursuit of an Ancient Bible, e del lungo articolo di Ronen Bergman per il New York Times. Dopo secoli di immobilità e grande cura da parte della comunità ebraica di Aleppo, nel 1935 il sionista Yitzhak Ben-Zvi cerca di convincere la comunità che il posto più sicuro sia la nascente Israele e tramite Yitzhak Shamosh cerca di portarvelo contro il volere degli ebrei di Aleppo. L’impresa fallisce e la maledizione pende minacciosa. Nel novembre del 1947 le Nazioni Unite si dichiarano favorevoli alla nascita di uno Stato ebraico. I paesi arabi in risposta scatenano l’inferno. Le numerose comunità ebraiche sono in pericolo, ebrei siriani in primis. Il Codex è nell’occhio del ciclone, la storia racconta che lo shammash Asher Baghdadi lo abbia salvato tra le fiamme e le ceneri del tempio. Il governo siriano intanto capisceil valore inestimabile del manoscritto e vuole venderlo a qualche ricco mercante, la comunità di Aleppo fa credere che sia stato distrutto dall’incendio. Il trasferimento del codice in Israele sembra ormai indispensabile e Ben-Zvi, divenuto il secondo premier israeliano non intende mollare la presa. Per la giovane Israele c’è bisogno del legame con il passato, il paese si deve riappropriare della storia dei padri. A questo punto entra in scena un nuovo personaggio, piuttosto ambiguo per la verità. Incoronato e condannato a tempi alterni, salvatore ma anche profondamente enigmatico: Murad Faham, fu lui il prescelto per riportare a casa la corona, così viene chiamato il Codex. Nonostante maledizioni, governo siriano e maldicenze, Faham arriva vittorioso a Haifa. Ma qui si apre un nuovo grande interrogativo, il mistero dei misteri. Perché il vecchio Codex Aleppo, sicuramente provato dal viaggio, è in grande forma, ma privo di duecento preziosissime pagine. E c’è chi giura che quelle pagine in Israele ci siano arrivate. Allora chi è il ladro? E la maledizione? Sembra quasi di rileggere storie italiane di qualche decennio fa, con una nebbia che avvolge chiunque cerchi di fare chiarezza. Con agenti segreti, mercanti avidi, studiosi appassionati e uomini ossessionati. E qui di storie bisbigliate o riferite pubblicamente ce ne sono per tutti i gusti. Una di quelle più singolari riguarda il ricchissimo Edmond Safra. Amnon Shamosh, fratello di Yitzhak del quale avete letto alcune righe sopra, ha scritto un romanzo intitolato Michel Ezra Safra and Sons, trasposto poi in un telefilm che è negli anni ’80 è stato il Dallas israeliano. La serie finiva con il patriarca della famiglia che salvava il Codice di Aleppo e lo portava a Nizza. Il cognome era una scelta casuale ma Safra convocò Shamosh e gli offrì una somma ingente per cambiare il cognome dei protagonisti (una di quelle scene da film in cui lui mostra il libretto degli assegni all’altro e dice con voce autoritaria:”Scrivi tu la cifra”).
Rachel Silvera, Pagine Ebraiche, settembre 2012 twitter @RachelSilvera2