Il drappo rosso

Sbaglierò, ma ho la tragica impressione che l’attuale dirigenza dell’Iran desideri, esplicitamente, che Israele intraprenda un’azione militare volta a neutralizzarne la potenziale minaccia nucleare. Tutti i segnali della propaganda di regime mi sembra vadano in questa direzione. Non solo, infatti, il programma atomico procede a pieno volume, senza neanche bisogno di alcuna negazione, finzione o cautela, e non solo le minacce e le invettive contro il “nemico sionista” (“cancro da estirpare” al più presto, secondo il Presidente Ahmadinejad), diventano, di giorno in giorno, sempre più forti e martellanti, ma quel che mi pare particolarmente significativo è il modo in cui, in molte pubbliche dichiarazioni, diversi esponenti del regime hanno commentato l’eventualità di una possibile aggressione da parte dello Stato ebraico. Il giudizio più ricorrente, a questo proposito, è che si tratterebbe di un bluff, in quanto Israele non avrebbe le capacità militari per osare un’operazione così rischiosa e impegnativa. Applicando ai rapporti tra stati gli stessi criteri di interpretazione valevoli per i litigi fra adolescenti rissosi, queste parole sembrano assumere il chiaro, primitivo significato di una sfida. L’Iran potrebbe dire, con spirito pacificatore: “Israele non ha ragione di farlo, perché non lo minacciamo”; oppure, potrebbe dire, con tono aggressivo e minaccioso: “non gli conviene farlo, perché lo distruggeremmo”. In entrambi i casi, queste parole, tra ragazzini, equivalgono a un’implicita richiesta di tregua, di non belligeranza: “dài, andiamo a casa a fare i compiti, domani se ne parla”. Le parole “vediamo se ne sei capace”, invece, hanno un altro sapore. Chi le riceve, è invitato a dimostrare di essere “un uomo”. Se non raccoglie la sfida, non solo è disonorato davanti a tutta la classe, ma il suo antagonista ha ormai acquisito la prova certificata di essere il più forte, e ne terrà conto alla prima occasione utile, probabilmente subito, o comunque molto presto.

Logiche da ragazzini, certo. Non vanno applicate alla dirigenza iraniana, i cui componenti non sono dei ragazzini, ma qualcosa di molto peggio. E quanto a Israele, neanche il più intransigente critico dell’attuale governo, spero, potrà credere che esso possa cadere per ingenuità in una così evidente provocazione, precipitando il Paese e la ragione in una terribile tragedia per un meccanismo di mero bullismo politico. Resta il fatto, però, che Teheran continua a sventolare il drappo rosso davanti al suo toro, brandendo dietro la schiena (e facendola intravedere) la sua muleta nucleare. Sugli spalti, una folla eccitata (che, forse, dopo anni di attesa, comincia anche a dare i primi segni di noia: “ma insomma, questa benedetta guerra, volete farla, sì o no?”), ben simboleggiata dall’adunata dei 120 Paesi non allineati convenuti, in questi giorni, a Teheran (a fugare ogni equivoco, se mai ce ne fosse bisogno, riguardo alle simpatie della maggioranza del mondo nei confronti di Israele).

Che deve fare Israele? Come ho già avuto modo di dire, la grave responsabilità di ogni scelta (e anche il non intervenire, come in molti paiono dimenticare, è una scelta) compete al legittimo governo del Paese, sotto il vigile controllo e l’attento giudizio del Parlamento, dell’opinione pubblica, della libera stampa, della Corte Suprema, del Presidente dello Stato, delle Autorità civili e religiose. Al di là di tutte le legittime differenze di opinione, nessuno, credo, vuole che il Paese si comporti da toro o da ragazzino, e nessuno crede che si possa rimanere inerti di fronte alla minaccia di un nuovo Olocausto. Quanto agli amici di Israele, fuori dai confini dello Stato, ritengo che il loro compito sia quello di manifestare al Paese minacciato, in ogni modo, la propria solidarietà. Non “senza se e senza ma” (espressione forse abusata, e comunque discutibile), ma, diciamo, col cuore e con la mente. Chi davvero voglia evitare una guerra, si impegni, in tutti i modi possibili, per disinnescare la minaccia iraniana. Secondo me, è l’unico modo giusto per farlo. Chiedere al governo israeliano pubbliche assicurazioni contro un possibile uso della forza, non mi sembra la scelta migliore.

Francesco Lucrezi