…bilanci

Salvo errori o omissioni, fra le apparizioni settimanali su questa colonna online, quelle mensili sul giornale Pagine Ebraiche, e qualche altro intervento estemporaneo, questo di oggi è il 250mo pezzo che scrivo, su istigazione dell’amico Guido Vitale, per gli organi di comunicazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Mi sembra giustificato a questo punto chiedersi quale sia stato il succo principale delle cose dette fin qui, e se sia cambiato qualcosa in questi ultimi anni. Una prima amara constatazione si riassume nella mancata crescita della conoscenza e nel continuo predominare di pregiudizi e parzialità nello spazio mediatico italiano quando si affrontano temi legati allo stato d’Israele che, è importante sottolineare, non è semplicemente un paese spesso menzionato nella cronaca esteri, ma costituisce anche uno dei maggiori poli di riferimento identitari per gli ebrei italiani. La malevola, falsa rappresentazione del fenomeno Israele comporta quindi anche una parziale delegittimazione del fenomeno ebraismo. Su questo versante non è cambiato molto, le firme si alternano, ma le posizioni delle diverse testate sono prevedibili, si rinnova tutto il tempo lo strazio del nuovo inviato speciale che dopo una visita a una birreria di Tel Aviv scrive il pezzo su “Israele è in crisi” sulla falsariga dell’inviato veterano, sempre nell’incapacità di elencare correttamente nomi e fatti. E noi, forse scioccamente, ci inquietiamo. L’inquietudine, in realtà, non dovrebbe essere tanto per noi stessi quanto per una società civile che tollera tale scempio come parte integrante della sua “informazione”. Una seconda inquietudine, in un certo senso derivante dalla prima, è che il dovere di difendere la corretta rappresentazione delle notizie e delle immagini a noi più care: non deve mai divenire eccesso di difesa o lo smussamento di angolini laddove è imperativo conservare intatti il proprio senso dell’autocritica, la propria qualità morale e civile, e la propria trasparenza. “Noi” non possiamo permetterci mai di diventare come “loro”. Un terzo argomento di inquietudine, assai più grave, è che la crisi del sistema economico iniziata nel 2008 non solo non è risolta nel 2012, ma ha generato in Italia e in altri paesi una grave crisi, se non il collasso totale, del sistema dei partiti e della politica in senso lato. Su questi grandi problemi la comunità ebraica preferisce in generale non pronunciarsi e mantenere la propria nicchia di cauta sopravvivenza nel contesto del grande divenire generale. Noi abbiamo ritenuto che ciò non basti e che nei momenti critici, anche una piccola minoranza come quella ebraica si debba pronunciare sui grandi temi del futuro della società civile. Su questi diversi aspetti se “l’Unione informa”, Moked e Pagine Ebraiche – fra le molte altre voci – hanno prodotto qualche utile spunto di discussione, lo sforzo non sarà stato del tutto vano e sarà utile continuarlo.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme