Quando Gerusalemme è un fumetto
Cronache di Gerusalemme del canadese Guy Delisle è il libro più bello che ho letto quest’estate, e non sono ancora nemmeno riuscito a collocarlo in un genere. Aiutami tu, Guy: che cosa fai? Sono fumetti? E’ un blog, un diario? O forse è una cartolina, come quelle che un tempo ti mandavano gli amici dalle vacanze? Sì, può essere una cartolina, lunga e bella…
Così inizia l’incontro tra Massimo Cirri, conduttore radiofonico, e il fumettista canadese Delisle, protagonista, oltre che autore, della graphic novel Cronache di Gerusalemme, edita nell’aprile 2012 da Rizzoli Lizard e discussa a Mantova durante la giornata conclusiva di Festivaletteratura. E’ abbastanza singolare, in effetti, che un fumetto varchi le sacre soglie di un evento che sembra prendere in considerazione solo libri senza figure. L’autore stesso racconta di essere stato sorpreso dall’invito, poiché, mi spiega, in Italia la graphic novel è un genere che ancora fatica a conquistarsi un posto nella letteratura.
Delisle ha trascorso un anno a Gerusalemme, il 2008, accompagnando la sua compagna, che lavora come coordinatrice per Medici senza frontiere. “Durante quell’anno, racconta, prendevo appunti continuamente, ho annotato tutto quello che vedevo e sentivo, giorno per giorno, dall’attentato del bulldozer su Jaffa road all’operazione militare ‘piombo fuso’, fino alla routine più quotidiana, che, strano a dirsi, si crea comunque perfino in un luogo straordinario come quello, in particolare viaggiando con due bambini piccoli. Una volta tornato a casa ho iniziato a scegliere le storie delle quali volevo parlare, e soltanto allora le ho disegnate. Avevo prima bisogno di lasciar sbiadire nella memoria l’enorme quantità di informazioni che avevo riportato con me. Sapevo troppo. Invece è proprio il distacco ironico che mi ha consentito di trovare la giusta prospettiva per raccontare la quotidianità surreale di Israele. Partendo per Gerusalemme immaginavo che saremmo andati ad abitare in un quartiere antico e pieno di charme, con graziose pasticcerie come quelle di Rue des Rosiers, il quartiere ebraico di Parigi. Pregustavo la carne affumicata e i bagels, come nei kosher Delis di Montreal. Invece sono arrivato a Beit Hanina, nella zona est della città, dove l’atmosfera è decisamente diversa… Certo, humus e falafel non mi hanno deluso, ma per il resto la vita là è davvero complicata. Nei miei libri non svolgo un lavoro da antropologo, e nemmeno da giornalista. Anche questa volta sono partito senza sapere che cosa cercavo. Io lavoro così: mi trovo in un posto esotico e interessante grazie al lavoro di mia moglie e se trovo cose che colpiscono la mia fantasia le uso, se no no. A volte sono solo dettagli, come per esempio i libri lasciati dalla famiglia che ci ha preceduti nell’appartamento dell’organizzazione, oppure la gestione dei rifiuti a Beit Hanina: potrei parlarne per ore, ma solo descrivendone molti piccoli dettagli, non mi interessa analizzare cause e conseguenze. Non vado mai a cercare storie pericolose, sto lontano quanto posso da guerra e pericoli perché non è il mio mestiere stare a guardare gente che soffre, oppure fotografarla. Uso invece testi e immagini per raccontare quello che ho visto perché mi servono entrambi: a volte è più diretto l’uno, a volte l’altro”.
Nel suo libro Delisle racconta i checkpoint e la guerra, ma anche l’asilo dei figli e le lunghe ricerche prima di scoprire un parco dove possano giocare. Esilarante è l’episodio in cui il protagonista cerca urgentemente dei pannolini per la figlia e si trova in pieno conflitto morale tra emergenza e ideologia: è venerdì e i negozi arabi sono chiusi. Le organizzazioni internazionali sconsigliano di supportare l’economia degli insediamenti, ma il centro commerciale dei coloni è l’unico aperto: il nostro eroe suda freddo, la bambina minaccia altri liquidi.. Chi vincerà?
Miriam Camerini