Terremoto – Il formaggio perduto

Quando la scorsa estate il terribile sisma ha colpito l’Emilia Romagna e parte della Lombardia, le gigantesche forme di Parmigiano Reggiano precipitate dagli scaffali dei caseifici hanno fatto il giro del mondo: un potente simbolo della forza della natura capace di ridurre in briciole il frutto dell’ingegno umano, ma anche, grazie a una straordinaria mobilitazione di associazioni e catene di distribuzione per vendere il formaggio perduto mitigando il danno economico, un emblema della straordinaria voglia della gente emiliana di superare le difficoltà.
Eppure, se oggi non è più possibile trovare un singolo pezzo di Parmigiano kasher in tutto il mondo, la colpa non è del terremoto.
Il Parmigiano è uno dei più rinomati alimenti made in Italy, e gode di una certificazione di origine protetta a tutela del suo straordinario processo di produzione. Le tecniche sono tramandate di generazione in generazione fin dal Medioevo e devono essere rispettate rigorosamente per ottenere il marchio dal Consorzio del Parmigiano.
Qual è dunque l’ostacolo a una produzione kasher? Naturalmente il caglio, che deve essere di vitello. La questione è delicata non per il problema di mischiare carne e latte, perché “dal momento in cui la sostanza viene estratta dallo stomaco dell’animale a quello in cui viene utilizzato per produrre il formaggio, il caglio subisce tante e tali trasformazioni da non essere più considerato di carne” spiega il presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia Elia Richetti. Tuttavia, essendo un ingrediente fondamentale per creare il Parmigiano, non è possibile che provenga da qualcosa che all’origine non era permesso mangiare. Pertanto è necessario usare un vitello macellato secondo le regole della kasherut. E i produttori di Parmigiano sono restii ad accettare un ingrediente che non arriva da fornitori di fiducia e di cui non possono controllare fino in fondo la qualità. Problema cui si aggiunge la necessità di predisporre impianti utilizzabili solo per la produzione kosher che rendono la stessa particolarmente costosa.
Ciononostante, il caseificio Fanticini di Reggio Emilia diversi anni fa accettò di mettersi in gioco. “La mia famiglia era nel settore dall’inizio del secolo scorso – racconta Irma Fanticini, 96 anni – Mio figlio Piero rappresenta la terza generazione di professionisti dell’arte casearia. Fu lui a decidere di produrre il Parmigiano kasher, ma quando è andato in pensione abbiamo venduto il caseificio e i nuovi proprietari hanno cessato la produzione”.
Fortunatamente per gli amanti del buon formaggio esiste un’alternativa di tutto rispetto al Parmigiano: il Grana Padano, che si differenzia dal primo solo per un regolamentazione leggermente più permissiva per l’alimentazione delle mucche che producono il latte da utilizzare e per i tempi di invecchiamento. Il Grana Padano viene prodotto kasher sotto la supervisione di rav Shalom Elmaleh “Vado al caseificio una volta al mese con il caglio di vitello kosher che mi fornisce specificamente un produttore privato. Le tecniche produttive per il resto sono identiche, altrimenti il consorzio del Grana Padano non ci concederebbe il marchio”.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked