Voci a confronto
La notizia del giorno è sicuramente la crisi sempre più seria tra USA ed Israele; Cecilia Zecchinelli sul Corriere scrive chiaramente che Obama e Netanyahu non si incontreranno a New York, in occasione dei loro interventi di fronte all’assemblea generale dell’ONU per l’impossibilità di essere nello stesso giorno nella stessa città. Al fine di stemperare la gravità della notizia, a Washington rassicurano dicendo che comunque Hillary Clinton si incontrerà con Netanyahu, dal momento che non ci sarebbe nessuna volontà di non incontrarsi. Ma la realtà vuole che qui si dica chiaramente che la crisi c’è. Netanyahu ha dichiarato ieri, come riporta il Financial Times: “Il mondo ci chiede di aspettare, ma io chiedo: aspettare che cosa? Aspettare fino a quando?” Panetta, in evidente soccorso di Obama, afferma che c’è almeno un anno di tempo per agire, ma resta il fatto che l’Amministrazione americana rifiuta di indicare una linea rossa invalicabile. Quella linea rossa che, come scrivono Joshua e Jay sul Wall Street Journal raccogliendo le parole di Dan Halutz, ex generale comandante delle forze israeliane, serve per cambiare colore il giorno dopo essere stata tracciata; e aggiunge Halutz che, quando devi colpire, devi colpire, e non parlare. Il succo delle discussioni in atto tra americani ed israeliani sta tutto qui: gli USA non pongono ultimatum, mentre Israele non può aspettare troppo a lungo; di più: gli USA non pongono limiti all’Iran, ma li pongono ad Israele. Aggiunge chi scrive che oggi nessuno ricorda le parole pronunciate da Amano, segretario generale dell’Agenzia AIEA, parole che dovevano risuonare, come disse testualmente, da grido di allarme per il mondo intero. Anche gli altri quotidiani principali dedicano articoli a questo tema, e strana appare la scelta di Repubblica di pubblicare solo una breve. Sul Sole 24 Ore Ugo Tramballi, mai tenero con Israele, scrive di “toni offensivi usati da Netanyahu” (sicuramente non affatto evidenti nelle dichiarazioni del premier disponibili sul web ndr), e di “scelte morali diverse” per i due principali responsabili politici. Ma una chiave di lettura di quanto sta avvenendo la fornisce Robert Kagan, intervistato da Europa, che dice che appare “sconcertante il fatto che Obama oggi pensi solo in termini elettorali”.
Forti tensioni si registrano in alcune città palestinesi dove, come scrive ancora Cecilia Zecchinelli (Corriere della Sera), il premier Fayyad, inizialmente abbandonato da Abu Mazen al suo destino, deve ora essere difeso dal suo leader che teme di venir altrimenti sommerso da una rivolta che rischia di sfuggire ad ogni controllo. E forti scontri avvengono anche al Cairo e nella libica Bengasi a causa di un film che alcuni copti stanno girando in America. Lo scrivente non ha visto personalmente questo video che per alcune testate girerebbe già in rete, mentre per altre (Giordano Stabile su La Stampa, ad esempio) sarebbe ancora in lavorazione. Fatto sta che, nonostante la politica di Obama sempre più vicina ai regimi islamici da lui considerati amici, le folle salafite assalgono ambasciate e consolati americani, riuscendo sia a penetrarvi all’interno, sia anche ad uccidere un diplomatico del consolato di Bengasi. Guido Olimpio inizia il suo articolo per il Corriere definendo “stupida ed inutile provocazione” la volontà di girare questo documentario, ma non può esimersi dal ricordare i massacri cui sono sottoposti i copti in Egitto.
Coloro che hanno ascoltato il TG1 delle ore 13.30 avranno sentito che ora sono tre le vittime americane a Bengasi, e, tra queste, lo stesso Ambasciatore, che fu già a Tripoli durante tutto il periodo delle rivolte. Ma perché il TG1 ha parlato di un film di un regista israeliano? Da quanto scrivono tutti i quotidiani oggi, si tratta di un’iniziativa dei copti con un reverendo americano.
Non si smentisce nemmeno oggi l’International Herald Tribune che pubblica un articolo firmato da Daniel Levy che, osservando che sono sette anni che Israele si è ritirato da Gaza, ricorda le parole dei sette anni di vacche grasse etc. L’articolo appare pieno di parole ad effetto, ma non correttamente spiegate, come quando parla della alta concentrazione della popolazione a Gaza (che non è certamente solo degli ultimi anni), e quando sfiora i problemi demografici dell’area, con parole smentite dagli studi recenti. Vanno inoltre segnalate queste altre gravi affermazioni: vi sarebbe una forte volontà in Israele di “take over the West Bank”, mentre Israele deve uscirne del tutto e anche “da Gerusalemme est”, dopo “45 anni di impunità”. Desidero ripetere che tale articolo porta la firma di Daniel Levy.
Il sindaco di Milano Pisapia termina la sua visita in Medio Oriente e Miche Giorgio sul manifesto sembra rammaricarsi che “proprio lui” abbia proposto che, al termine di Expo 2015 Israele possa mantenere aperto il suo padiglione (dedicato a settori, come quello dell’acqua, nei quali gli israeliani sono all’avanguardia mondiale ndr).
A Gerusalemme si è svolta una riunione tra israeliani e bulgari che sembrano ora aver ritrovato l’armonia nelle indagini condotte a seguito dell’attentato di Burgas. Ne scrive Angelica Ratti su Libero, ma non ricorda che proprio ieri un ferito grave è uscito finalmente dal coma (nel quale cadde il 18 luglio). Questa redazione gli porge gli auguri di guarigione completa.
Continua l’islamizzazione in Egitto, e dopo la prima annunciatrice TV col velo, ora, come scrive Padania, è la volta delle linee aeree egiziane che stanno preparando una nuova divisa per le hostess.
La Turchia, sempre più solidale con le posizioni sunnite, rifiuta, come scrive P. Dm. su La Stampa, l’estradizione verso l’Irak dell’ex vice-premier al-Hascemi, condannato a Bagdad all’impiccagione.
In Francia, grazie all’azione di personalità come Simone Veil e Elie Wiesel, si apre al pubblico il Camp des Milles, nei pressi di Aix, di fronte a rappresentanti dei 38 paesi che ebbero cittadini che transitarono in quella ex fabbrica di tegole (che ricominciò a produrle dopo la guerra, fino al 2002); una storia tutta francese, come si legge correttamente sul manifesto (i cui giornalisti dovrebbero ricordarsi sempre di certe verità).
L’Osservatore Romano dedica un articolo alle proteste comuni di ebrei e musulmani in Germania per il noto problema delle circoncisioni.
Infine il Corriere, nelle pagine di Roma, dedica un articolo alla chiusura del Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica, chiusura con uno spettacolo teatrale dedicato ad Oriana Fallaci e a Golda Meir. Bellissimo accostamento dedicato a due grandi donne dello scorso secolo, per il quale chi scrive desidera far giungere agli organizzatori il suo personale plauso.
Emanuel Segre Amar