Voci a confronto
Finisce l’anno ebraico in un momento di estrema tensione. L’oramai nota vicenda della pellicola che ha infiammato il mondo arabo-musulmano, costando la vita a un ambasciatore americano e a tre dei suoi collaboratori, è solo l’ultimo evento di una lunga sequela di reazioni che, a partire dal caso Rushdie, nell’oramai non più troppo vicino 1989, hanno connotato i rapporti antagonistici tra Occidente atlantico e Oriente islamico. Rammentiamo, a titolo di semplice memento, l’assassinio di Theo van Gogh e la vicenda, di pochi mesi successiva, delle dodici vignette satiriche comparse su alcune testate danesi e norvegesi. Gli aggiornamenti di cronaca sugli ultimi fatti ancora abbondano. Tra gli altri rimandiamo a Giordano Stabile su la Stampa , Guido Olimpo per il Corriere della Sera , Vincenzo Pricolo su il Giornale , Maurizio Stefanini per Libero , Roberto Romagnoli su il Messaggero , Luca Veronese per il Sole 24 Ore . Che le polveri fossero pronte per accendersi, e che ci fosse chi andava cercando un pretesto, non vi è dubbio alcuno. La disponibilità sul web di una quindicina di minuti, tradotti in arabo, di un B-movie di sospette origini e senza arte né parte, ha fatto il resto. La tardiva rimozione, avvenuta nelle ore scorse, in tutta probabilità non servirà a nulla (al riguardo Serena Danna e Massimo Gaggi sul Corriere della Sera, Luciano Gulli per il Giornale , Andrea Morigi su Libero ). Semmai avvalorerà non solo l’idea che dietro una produzione oscura ci sia un’intenzione fortemente lesiva verso una parte dei credenti ma anche che l’unica risposta possibile sia, a frittata oramai fatta, la censura. Dopo di che viene da pensare che più che la provocazione pornografica, che c’è senz’altro stata ma avendo la consistenza di una goccia d’acqua, conti la tracotante reazione. Nella sua parossistica sproporzione quest’ultima rivela quale sia la reale disposizione d’animo di collettività che ritengono di avere molti conti da regolare con l’«imperialismo» americano e l’egemonismo occidentale. Colpisce ancora una volta in questi atteggiamenti di deriva collettiva – viene quasi da pensare che paesi che non hanno vissuto le rivoluzioni collettive, come la Riforma, il 1798 e così via, siano destinati ad una eterna sudditanza politica – la ricerca di un capro espiatorio che lenisca l’angoscia di comunità messe ai margini dal mercato mondiale. In buona sostanza, il rapporto che intercorre tra l’incredibile filmetto, in sé letteralmente “osceno”, ossia fuori scena, e i tumulti di questi giorni corrisponde al legame che c’è tra una misera esca e una gigantesca preda. Rimane il fatto che la disposizione d’animo non è mutata in questi decenni: evitando i facili sociologismi assolutori, va da sé che società potenzialmente ricche ma sostanzialmente povere sviluppino non una forza contrattuale verso gli interlocutori internazionali bensì dinamiche di pura reattività e logiche di rivalsa aggrappate ad una sorta di iconofilia mentale, quella che fa del simbolo religioso (fosse anche solo una parola, quella che evoca il “profesta”) la linea rossa invalicabile. Così, sia pure tra le righe, e con tutti gli ammortizzatori del caso, il ministro Andrea Riccardi, intervistato da Franca Giansoldati per il Messaggero . Significativo è poi il fatto che nel linguaggio pubblico, non si parli più da molto tempo di redistribuzione da parte di soggetti collettivi quali lo Stato ma, ritornando su passi quasi ottocenteschi, di nuovo di filantropia. Al di là del giudizio sul singolo caso si veda quindi l’intervista di Alain Elkann a Ronald Cohen su la Stampa . Ci troviamo dinanzi ad uno scontro, l’ennesimo, all’interno del mondo musulmano. Nel Maghreb la posta in gioco è il conflitto tra i Fratelli musulmani (il cui registro ambiguo è segnalato questa volta da Guido Olimpo sul Corriere della Sera ), che hanno fino ad oggi capitalizzato politicamente, in molti luoghi, i risultati delle sollevazioni dell’ultimo anno e mezzo, e i gruppi jihadisti, sospesi tra le diverse osservanze di origine qaedista e salafita. Al riguardo si possono vedere gli articoli di Carlo Panella per Libero e di Paolo Mastrolilli su la Stampa e l’intervista di Umberto De Giovannangeli a Nabil El Fattah per l’Unità . Il Papa, intanto, è in Libano, in un momento così particolarmente delicato, portando con sé gli esiti dell’assemblea sinodale sul Medio Oriente di quasi due anni fa. L’attenzione dei media non è comunque eccessivamente rivolta nei suoi confronti. Ne danno resoconto Mimmo Muolo e Salvatore Mazza su l’Avvenire, testata che pubblica anche il discorso che il pontefice ha tenuto ieri durante l’incontro con le massime autorità del paese dei cedri, così come Gian Guido Vecchi per la Stampa , Andrea Morigi su Libero , Michele Giorgio per il Manifesto , Carlo Marroni su il Sole 24 Ore e Roberto Monteforte per l’Unità . Da ultimi, Roberta Zunini, Francesca Borri e un polemico Robert Fisk ricordano invece la strage falangista di trent’anni fa nei campi di Sabra e Chatila, contro i palestinesi, su il Fatto. Anche quest’anno abbiamo fatto nostro l’impegno di commentare polifonicamente le notizie che riguardano l’ebraismo, gli ebrei ed Israele. Non rimane che formulare auguri che non siano di mera circostanza. Shanah tovah le kulam. Le Chaim 5773.
Claudio Vercelli