Pistole di plastica

Pur apprezzando le evidenti buone intenzioni della ricerca promossa dall’Unione Europea riguardo alla diffusione dell’antisemitismo in Europa, e pur essendo convinto della serietà del modo in cui è stato preparato il relativo questionario (che non ho compilato, e neanche visionato, essendo esso rivolto solo alla popolazione ebraica; ho però contribuito a diffonderlo tra i miei amici ebrei), ribadisco lo scetticismo già ho già avuto modo di esternare, su queste colonne, riguardo alla stessa possibilità di misurare, con criteri scientifici, il livello di antisemitismo di una data società, in un dato momento storico: scetticismo fondato sulla convinzione che l’antisemitismo, per sua stessa natura, non sia un fenomeno misurabile. Non lo è perché non è individuabile nel suo identikit, nelle sue vesti, nei suoi contorni, nelle sue dimensioni. Nel suo camaleontismo, esso cambia periodicamente abito, e non serve (o serve a molto a poco) contrastarlo nelle sue manifestazioni sorpassate, quando esso ha già assunto nuove forme, nuove maschere.
Quanto e come l’antisemitismo, nel corso dei secoli, abbia radicalmente cambiato le sue manifestazioni esteriori, le sue contorte e morbose giustificazioni, è cosa troppo nota per dover essere ribadita. Al giorno d’oggi, è un dato di fatto difficilmente controvertibile che esso, in Occidente, almeno al 90 per cento si esprima nell’ostilità verso lo Stato di Israele. Sussiste, infatti, una netta differenza tra il mondo islamico e quello occidentale, giacché nel primo l’odio verso la patria degli ebrei spesso si intreccia o si sovrappone all’avversione verso gli ebrei ‘tout court’, senza bisogno di particolare distinzioni, mentre, in Europa – con l’eccezione della ‘riserva indiana’ dei gruppi dichiaratamente neonazisti (comunque da non sottovalutare, Breivik insegna) – l’avversione contro Israele, più o meno estesa, quasi mai mostra di estendersi alle comunità ebraiche della diaspora, nei confronti delle quali, in genere, si sono manifestati, fino ad oggi (ma le cose possono cambiare, si veda l’Ungheria), considerazione e rispetto. Rispetto e considerazione che sembrano essere tanto più vigili e accentuati in chi intenda attaccare, con maggiore o minore virulenza, lo Stato ebraico, proprio per evitare che il proprio antisionismo (o la propria critica politica) possa essere confuso con l’antisemitismo ‘vecchio stampo’. Se ne è parlato più volte, recentemente, proprio a proposito dell’umorismo ebraico: se un gentile deve essere prudente nel dire barzellette sugli ebrei, per non sembrare antisemita, è evidente che un ebreo non ha questa preoccupazione, e può lasciarsi andare tranquillamente. Allo stesso modo, è facile vedere come i distillatori professionali di odio anti-israeliano stiano in genere molto attenti (pur con delle eccezioni) a non dare alle loro posizioni una coloritura generalmente antiebraica, e cerchino anzi spesso di ‘certificare’ il loro pensiero attraverso l’avallo di qualche collega ebreo.
Si potrà anche immaginare e costruire una sorta di metal-detector, in grado di svelare la vecchia “pistola antisemita” nascosta nel bagaglio, ma non servirà a molto, se il 90% delle armi sono oggi di plastica, capaci di superare tranquillamente il monitoraggio.

Francesco Lucrezi, storico