Voci a confronto
Günter Grass non molla, anzi, semmai raddoppia. Dopo le accese polemiche originate dalla non innocente poesiola «quello che deve essere detto», pubblicata sulla Süddeutsche Zeitung, con la quale attaccava Israele indicandola come la principale minaccia per la pace mondiale, adesso nel volume intitolato «Eintagsfliegen» nobilita la figura di Mordechai Vanunu, il tecnico nucleare che nel 1986 era stato condannato da una corte israeliana per avere rivelato segreti di Stato. Ne parlano Paolo Lepri su il Corriere della Sera così come la Repubblica, quest’ultima con un trafiletto, in attesa delle polemiche che, si può stare certi, non mancheranno. In realtà, al di là del giudizio che Grass formula su singoli aspetti della storia o della cronaca recenti, quello che colpisce – ma neanche più di tanto – è l’autosmascheramento che l’autore fa dei suoi risentimenti. È come se la senilità facesse emergere le ossessioni di una vita intera, maturate da giovanissimo milite delle Waffen SS, poi sepolte sotto le macerie della sconfitta della Germania, tenute nella cantina della memoria nei lunghi decenni trascorsi ed infine riemerse prepotentemente nel crepuscolo della propria esistenza. Di qualcosa di molto crepuscolare, e non meno greve, parla Gian Antonio Stella sempre sul Corriere della Sera, riferendosi al sacrario-mausoleo, inaugurato ad Affile poco più di un mese, ed intitolato alla triste memoria di Rodolfo Graziani, già Maresciallo d’Italia nonché Viceré, uomo di Mussolini fino agli ultimi giorni del fascismo repubblicano ed esponente (nonché piccola icona) della destra radicale italiana postbellica. Il giornalista ricostruisce le “eroica” gesta di questo esponente del fascismo, soprattutto nelle campagne coloniale, quando si impegnò nella feroce repressione della resistenza libica ed etiope colpendo, molto spesso, la popolazione civile. L’inaccettabilità del fatto che con denaro pubblico, ovvero 127mila euro stanziati dalla Regione Lazio, ne venga celebrato apologeticamente il ricordo, come se si trattasse della scrittura di pagine gloriose della storia del nostro paese, si riannoda alla persistenza del fascismo come fenomeno politico, ma anche subculturale, presente nelle pieghe del nostro presente. Di vicende che rinviano al quadro dei paesi in cui fummo presenti come potenza occupante (alla quale fu attribuito il titolo di «colonialismo straccione») rinviano anche quanto Lorenzo Cremonesi per il Corriere della Sera e il Giornale scrivono sulla “rivelazione” ad orologeria, quella fatta da Mahmoud Jibril, ex premier del governo libico di transizione e candidato di nuovo alla guida del paese, nella quale si afferma che ad uccidere Gheddafi non fu un miliziano ribelle bensì un «agente straniero», probabilmente un francese. Fatto che sarebbe arrivato a termine di uno scambio di favori tra la Siria e la Francia: la prima avrebbe permesso alla seconda di risalire al telefono satellitare del rais libico, ricevendo come contropartita la promessa di una linea più morbida negli organismi internazionali rispetto alla richiesta di sanzioni contro la politica repressiva degliAssad. Fin troppo facile adoperarsi in battute su quale sia lo spessore della solidarietà araba quando in gioco sono i propri interessi. Maria Giovanna Maglie per Libero mette in rilievo quanto fosse l’interesse di molti, a partire da Nicola Sarkosy, affinché Gheddafi tacesse una volta per sempre. Per il resto i quotidiani si dedicano ad una domenica pigra, recensendo libri, come fa Maria Serena Palieri sull’Unità, dedicandosi al nuovo romanzo di Lia Levi, o Fabio Perugia per il Tempo, dove si parla della raccolta di racconti di Mario Pacifici ed infine Mario Ricciardi per il Sole 24 Ore sul quale si commenta una biografia di Isaiah Berlin appena uscita in lingua inglese. Proliferano, a mo’ di gossip, gli articoli sui maggiordomi infedeli: uno in particolare, ora sotto processo per avere tradito – così si dice – la fiducia del suo datore di lavoro, il Papa, è sotto l’attenzione di un quotidiano di vaglia qual èRepubblica, che gli dedica più articoli, a partire da quello firmato da Marco Ansaldo.Dire che della servitù non ci si può fidare è uno snobismo realistico, che trova molti riscontri nelle pagine dei romanzi gialli. D’altro canto, come il Bardo faceva affermare ad un personaggio in una delle sue più grandiose opere, l’Amleto: «Thereare more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy» (Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quanto ne sogni la tua filosofia»).
Claudio Vercelli