Attenzione allo Shabbat!
Mi ha stupito la settimana scorsa leggendo il programma di Torino Spiritualità constatare che un noto personaggio ebreo era previsto tre volte (in due delle quali per parlare di temi inerenti alla cultura ebraica), tutte e tre rigorosamente di Shabbat. Il problema, a mio parere, non riguarda tanto la persona (anche per questo non faccio nomi), quanto gli organizzatori: perché prevedere l’intervento di un ebreo che parli di ebraismo in un contesto a cui un ebreo osservante non potrebbe partecipare? Forse i temi trattati non sonostati ritenuti strettamente attinenti alla religione (anche se si trattava pur sempre di Torino Spiritualità, ed uno dei temi era il chassidismo); comunque capita spesso a molti ebrei, magari in contesti più limitati (scuole, parrocchie, circoli culturali), di essere invitati a parlare di Shabbat su temi strettamente legati alle mitzvot, magari sullo stesso Shabbat. E’ paradossale che si cerchi affannosamente qualcuno che con la sua stessa presenza dimostrerebbe di non essere la persona giusta, eppure non c’è verso: se rispondiamo che non possiamo partecipare perché è Shabbat nessuno pensa a spostare l’evento; semplicemente ci viene chiesto di indicare il nome di un’altra persona che invece potrebbe essere disponibile. Nel caso di Torino Spiritualità magari gli organizzatori hanno anche pensato che sia giusto far vedere gli ebrei come sono realmente e che in fin dei conti la maggioranza degli ebrei italiani non osserva lo Shabbat. Mi pare comunque una scelta sbagliata. Prima di tutto perché molti ebrei, anche se non osservanti, sentono comunque la responsabilità di rappresentare l’intera comunità: se si vuole dare un’idea corretta e onesta di cos’è l’ebraismo non si può tralasciare la sua dimensione collettiva e presentare gli ebrei come un insieme di cani sciolti. In secondo luogo – e mi sembra il problema più grave nel caso di Torino Spiritualità – perché si limita fortemente la possibilità che gli ebrei partecipino; si parla di ebraismo senza ebrei in sala, senza dibattito, senza confronto, senza la possibilità di sentire opinioni diverse, note dissonanti: quanto somiglia all’ebraismo una cosa del genere? La dimensione collettiva dovrebbe emergere anche nell’organizzazione dell’evento stesso, nella sua pubblicità, negli inviti. La Comunità Ebraica di Torino ha segnalato puntualmente a tutti gli iscritti altri eventi nell’ambito di Torino Spiritualità, che in questo modo sono stati anche occasioni di aggregazione tra gli ebrei stessi; niente di tutto questo, giustamente, per gli eventi previsti di Shabbat. Se le religioni sono vissute in una dimensione comunitaria, anche il dialogo e il confronto tra di loro dovrebbe avvenire in una dimensione comunitaria. Altrimenti molti eventi, anche interessanti e di alto livello, rischiano di trasformarsi in occasioni perdute.
Anna Segre, insegnante