Nba, il riscatto di Stoudemire

L’anno del riscatto di Stoudemire? Nella Nba che scalda i motori pronta per dare il via alle feste, il prossimo 30 ottobre, sono in tanti a scommettere sui New York Knicks e sul loro pilone offensivo. Per Amar’e Stoudemire, trent’anni a novembre, quella alle porte può essere davvero la stagione della svolta. Non ancora spirituale, dopo l’annunciato avvicinamento all’ebraismo di un paio di estati fa, ma almeno sul parquet il ragazzone di Lake Wales deve far vedere una volta per tutte di che pasta è fatto e riscattare i malumori che hanno accompagnato le sue ultime prestazioni. Il talento d’altronde non manca, come già dimostrato nel corso di una carriera ricca di soddisfazioni che l’ha portato in più circostanze a difendere i colori del Dream Team (anche se uno dei meno efficaci di sempre) e a guadagnarsi, nell’ormai lontano 2003, il titolo di miglior matricola del basket a stelle e strisce.
E se finora fosse stato semplicemente un problema di equilibri interni alla squadra a frenarlo? Una lettura piuttosto diffusa tra gli addetti ai lavori. Si spiega così il repentino ingresso in scena di Hakeem Olajuwon, indimenticata leggenda degli Houston Rockets, da poco ingaggiato dai Knicks dopo che lo stesso Stoudemire, in giugno, aveva usufruito dei suoi servizi alla modica cifra di 7mila dollari al giorno. La sfida di Hakeem The Dream, come lo chiamavano i suoi supporter, è quella di far coesistere sotto canestro il significativo potenziale offensivo di New York. Un terzetto d’assi di pregevole fattura che, oltre a Stoudemire, comprende anche Tyson Chandler e Marcus Camby. A loro si è affiancato, con un programma tecnico-tattico ad hoc, l’ala Carmelo Anthony, non proprio il migliore amico di Amar’e ma in gara giocoforza i due dovranno impegnarsi a remare nella stessa direzione e chiudere la manovra con i punti pesanti. Stoudemire dal canto suo è carico come una molla, pronto a riprendersi i palcoscenici di gloria che gli spettano. “Olajuwon – ha dichiarato alla stampa – mi sta insegnando molti movimenti che posso tradurre nel mio modo di giocare. Sarà una grande stagione: ho il quoziente intellettivo giusto per apprendere e mi sento fortunato ad essere un giovane che può confrontarsi direttamente con uno dei più grandi di sempre. Non vedo l’ora di iniziare, sono convinto che ne vedremo presto delle belle”. Amar’e è tornato, o almeno è sulla buona strada per completare l’opera, tanto che con la testa siamo di nuovo ai livelli di euforia del 2010: l’anno del suo trasferimento ai Knicks dopo 8 stagioni vissute da protagonista con i Phoenix Suns, ma anche l’anno del viaggio, che aveva colto di sorpresa un po’ tutti, in Israele. “Un’avventura alla scoperta di una parte fondamentale della mia identità, un progetto che coltivavo da una vita e che finalmente si realizza”, aveva scritto su Twitter.
In quei giorni febbrili per i giornalisti sportivi locali, sguinzagliati sui luoghi toccati da Stoudemire, si mormorava addirittura di un suo possibile approdo nella Ligat Ha’al, la prima lega professionistica nazionale. Un’ipotesi suggestiva, circolata nuovamente in occasione del lockout dello scorso autunno, e che lo stesso campione non ha voluto smentire facendosi anzi immortalare assieme alla dirigenza del Maccabi al completo. “Amar’e vuole Israele” aveva titolato un noto quotidiano facendo alzare, senza particolari cautele, il livello di euforia e adrenalina in un paese che ama visceralmente questo sport. Ci vorrà del tempo per capire se il sogno di milioni di tifosi israeliani diventerà un giorno realtà. Adesso è senz’altro troppo presto: Stoudemire ha ancora tanto da dare al basket dei big e costa troppo, tremendamente troppo. Ma anche il cuore, si sa, ha i suoi tempi.

Adam Smulevich – twitter @asmulevichmoked