Negare l’evidenza
Al ripugnante fenomeno del cd. negazionismo, considerato soprattutto sul delicato terreno dei possibili strumenti legali di contrasto esperibili nel quadro di uno stato di diritto (che, com’è noto, avrebbe nel diritto della libertà di espressione uno dei suoi fondamentali pilastri) ha dedicato di recente un interessante e acuto studio Daniela Bifulco, giurista raffinata e particolarmente sensibile al tema della difesa dei diritti umani e, in generale, della necessaria e possibile etica del diritto nel mondo moderno (la, in particolare, come curatrice dell’edizione italiana del fondamentale saggio di Antoine Garapon Chiudere i conti con la storia. Colonizzazione, schiavitù, Shoah, Raffaelo Cortina, Milano, 2008): Negare l’evidenza. Diritto e storia di fronte alla “menzogna di Auschwitz” (Franco Angeli, Milano, 2012, pp. 124). “Val la pena di chiedersi – nota l’autrice, nell’introduzione al saggio – cosa spinga un ordinamento giuridico a punire, addirittura con la privazione della libertà personale, chi osi negare il fatto che un evento storico sia effettivamente avvenuto, sacrificando così vistosamente la libera espressione del pensiero, ovvero il bene che, a partire dal consolidamento dello Stato liberale di diritto, ha fornito linfa e sostanza primaria al costituzionalismo”. “L’unica certezza – aggiunge l’autrice – è che quando il diritto pretende di ‘dettar legge’ a proposito di eventi storici, e del correlativo ‘dovere di memoria’, rischia sempre di entrare in scena con la stessa grazia di un elefante in una cristalleria: tra una trovata maldestra e l’altra, le decisioni di legislatori e giudici daranno senz’altro adito a critiche più o meno argomentate, più o meno condivisibili”.
Condividiamo i dubbi della Bifulco, che continuano a percorrere le pagine del volume, nel quale la legislazione europea e alcuni dei più interessanti e controversi casi giudiziari in materia sono esaminati in una sintesi particolarmente lucida e chiara, che rende il volume, oltre che di grande interesse scientifico, anche avvincente nella lettura.
Per quanto riguarda la mia opinione, ho già avuto modo, su queste colonne, di soffermarmi sul tema. Quel che penso si può sintetizzare essenzialmente in tre punti:
1) Negazionismo e revisionismo non hanno nulla, ma proprio nulla a che vedere con la libertà di opinione. O meglio, sono ad essa collegati nell’identico modo in cui si ponga il problema della libertà di espressione di chi dica: “mandiamo gli ebrei ai forni, oggi”. Chi dice “nessuno li ha mandati ieri” dice esattamente la stessa cosa. Se si ritiene che la prima asserzione abbia libertà di essere formulata, si può logicamente difendere anche la seconda, altrimenti no. Come ho già spiegato, il nome più corretto del negazionismo sarebbe “asserzionismo”: un neologismo che mi piacerebbe prendesse piede. Gli ‘asserzionisti’, nel negare ciò che è accaduto, forniscono la più evidente riaffermazione storica di quella Shoah che, negando, ripropongono come valore. Non è vero che i nazisti erano quel che si dice, ma per fortuna ci siamo noi. Secondo le parole di Pierre Vidal-Naquet, riportate in epigrafe dalla Bilulco: “Disseppellire i morti per colpire i vivi”.
2)Mandare gli asserzionisti in galera sarebbe controproducente, perché gli si farebbe un grande regalo. Sarebbero capaci di corrompere i giudici per essere mandati un paio di giorni al fresco, per poi uscire come eroi.
3) Quello che non si può invece assolutamente tollerare è che gli asserzionisti diffondano le loro maleodoranti idee nelle scuole e nelle Università. Non dentro le patrie galere, quindi, ma, almeno, fuori dalle aule, dove fanno altrettanto danno dei maestri pedofili o spacciatori di droga.
Francesco Lucrezi, storico