Qui Milano – La Resistenza spiegata agli studenti di Medicina
Che cosa significa svolgere una professione come quella medica, che chiama al confronto quotidiano con la sofferenza e il pericolo, in tempi in cui sofferenza e pericolo sono ovunque? Che cosa significa trovarsi a compiere la scelta se rischiare la propria vita oppure infrangere il giuramento di Ippocrate? Sono le domande cui si trovarono a rispondere i medici italiani sotto il fascismo e durante la Resistenza. Sono le domande offerte come spunto di riflessione agli studenti del primo anno di medicina dell’Università degli Studi di Milano nel convegno “Medici e medicina nella resistenza antifascista” tenutosi all’Ospedale San Paolo per l’apertura dell’Anno accademico 2012-2013.
“Pensiamo sia particolarmente importante che voi giovani che vi affacciate alla professione medica vi confrontiate con la realtà della medicina in tempi difficili” ha spiegato il professor Riccardo Ghidoni, coordinatore dell’incontro. “Studiate, studiate tanto e come portate avanti un impegno politico, sociale ed economico, perché la manipolazione, la violenza e il sopruso non possano ripetersi” gli ha fatto eco il collega Gianlodovico Melzi d’Eril.
“Non è vero che tutti gli italiani furono fascisti, né che tutti furono antifascisti – ha spiegato Michele Sarfatti, direttore della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea, fornendo il quadro storico di quegli anni – La gente compì una scelta. E oltre alla resistenza armata, delle lotte partigiane, non dobbiamo dimenticare la resistenza civile, come quella portata avanti proprio da tanti medici che nascondevano i perseguitati negli ospedali, mettendo a rischio la propria vita”. A raccontare la difficile situazione di medici ebrei e antifascisti sotto il regime è stata la storica Silva Bon dell’Istituto regionale per la cultura ebraica di Trieste, soffermandosi su alcune figure rappresentative, come quella del triestino Giuseppe Levi, docente di tre futuri premi Nobel tra cui Rita Levi Montalcini, e del professor Ugo Samaya.
“Nella tradizione ebraica, il medico è un tramite tra l’uomo e D-o. Sin dall’Unità d’Italia, i medici ebrei hanno sviluppato una forte tradizione di impegno civile e sociale che, ritroviamo intatta negli anni del fascismo e della resistenza” ha spiegato Giorgio Mortara, presidente dell’Associazione medica ebraica e consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Impegni che tanti medici ebrei, così come molti altri in prima linea nelle lotte partigiane e nell’opposizione al fascismo, profusero dopo la liberazione, diventando protagonisti della vita politica italiana, specie a livello locale “per amor di concretezza”, come rilevato da Mauro Sonzini, studioso di Resistenza e Democrazia, e da Roberta Migliavacca dell’Anpi di Pavia.
“È molto significativo aver tenuto un convegno come questo davanti a una platea di giovani” il commento di Michele Sarfatti.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked