In cornice – Picasso a Milano
La grande mostra di Picasso a Milano va assolutamente visitata: ripercorre passo per passo, o meglio stile per stile (periodo blu e rosa, impronta africana, cubismo analitico, sintetico etc. etc.) l’incredibile percorso culturale di questo artista, permettendo di assaporare la sua immensa creatività, a cui attinge gran parte dell’arte del Novecento. La sviolinata, però, finisce qui. La mostra inizia in modo che mi convince poco: le prime due opere – non in originale – sono Guernica e Massacro in Corea, a cui è dedicata una sala enorme e che sono accompagnate da spiegazioni approfondite. L’intento dei curatori è sottolineare l’impegno politico e ideologico di Picasso, contro la guerra, contro i totalitarismi, a favore del partito comunista. E’ un bluff, se non completo, quasi. Picasso amava molto la sua Spagna, ma per il resto era concentrato sulla sua arte. Fra le migliaia e migliaia di opere che produsse, ne dedicò pochissime a questioni politiche (oltre a quelle riprodotte a Milano, ricordiamo la Cappella della Guerra e della Pace a Vallauris nel sud della Francia, e la grande tela il “Massacro”). Durante la terribile guerra civile del suo paese, si fece nominare direttore del Prado di Madrid riuscendo a mettere in salvo i tesori del museo, ma rimanendo quasi sempre al sicuro a Parigi. Certo, dipinse Guernica, ma la carneficina in Spagna occupò le notizie per lunghi mesi, coinvolse eserciti e volontari di tutta Europa, e un silenzio totale sarebbe stato inconcepibile, soprattutto per uno spagnolo orgoglioso come lui. Durante la seconda guerra mondiale non si mosse da Parigi e i nazisti non si curarono di lui se non per impedirgli di esporre: certo in qualche sua opera appaiono figure mostruose, ma si era in mezzo a un conflitto spaventoso e completamente indifferenti era impossibile rimanere. Nel 1944, dopo la liberazione di Parigi, si iscrisse al Partito Comunista (comodo, verrebbe da dire), ma senza alcuna passione. Nelle migliaia di lavori del Dopoguerra, mancano riferimenti alla Shoah o ai disastri del conflitto mondiale, a parte la Cappella della Guerra e della Pace. Il famoso “Massacro in Corea”, dimostra come vedeva la Guerra di Corea con occhi poco comunisti-internazionali e molti spagnoli-nazionalisti, perché si tratta di una rivisitazione del celebre quadro di Goya sui massacri di spagnoli commessi dai soldati napoleonici.
Criticare l’allestimento della prima sala della mostra di Palazzo Reale a Milano, significa sollevare un interrogativo più generale: come è possibile che un assoluto genio dell’arte come Picasso, possa restare così indifferente al mondo circostante, vivere una vita da apolitico (come lo definì il grande gallerista Kahnweiler), chiuso su sè stesso? Allora stare chiusi in una torre d’avorio non è così male, e può contribuire allo sviluppo di un genio? O invece si tratta di un caso isolato e gli artisti egoisti e autoreferenziali, senza riferimenti alla vita che li circonda, sono per lo più sterili e poco interessanti?
Daniele Liberanome, critico d’arte