Kolno’a – Sulle tracce dei berberi di Tinghir
Da bambino amava perdersi tra i vicoli nel cuore di Tinghir. Ma Kamal Hachkar non aveva mai sospettato che nella cittadina sulle montagne dell’Atlante marocchino in cui era nato, proprio in quel quartiere un tempo viveva una fiorente comunità ebraica di cui ormai non rimane più traccia. Prende il via da questa scoperta Tinghir-Gerusalemme, gli echi del Mellah, il documentario che ieri ha concluso la terza giornata del Pitigliani Kolno’a Festival. Il film racconta il viaggio che porta il giovane regista, trasferitosi bambino in Francia insieme ai genitori, a ricostruire la scomparsa della realtà ebraico berbera di Tinghir. E’ un percorso complicato che lo vede spostarsi dal Marocco a Israele, dove gli ebrei berberi si sono trasferiti, affrontando i temi scomodi dell’identità (“io stesso d’altronde mi sono sempre sentito quello che è altrove ed è questo il motore narrativo del film”), del pregiudizio (“in Israele gli ebrei berberi sono sempre stati considerati primitivi”, dice il cantante Shlomo Bar), delle radici e il dolore dell’esilio. La capillare ricerca di Kamal Hachkar è facilitata, in modo quasi paradossale, dal suo essere musulmano. Gli ebrei berberi trasferitisi in Israele negli anni sessanta per timore di ritorsioni dopo i conflitti arabo israeliani, non hanno dimenticato com’era la vita a Tinghir. E lo accolgono a braccia aperte nel nome della secolare convivenza che lì univa ebrei e musulmani, rivendicando con fierezza l’antica fratellanza. E’ la chiave che conduce Hachkar verso il sogno di un futuro di pace. “La speranza è che il Mediterraneo possa tornare a essere una realtà plurale”, dice. “In questo senso vi sono tanti esponenti del mondo della cultura e delle arti che in Europa e in Medio Oriente da tempo stanno lavorando insieme, al di là delle differenti appartenenze. Sappiamo bene che la situazione è difficile, in Medio Oriente come in Francia per il montare gli estremismi. Non si deve essere ingenui, ma siamo convinti che la cultura può fare molto per avvicinare le persone”.
Kamal Hachkar racconta che il suo documentario, che da poco ha vinto il primo premio al festival di Ashkelon, ha ottenuto un grande successo di pubblico sia in Marocco sia in Francia dimostrando come l’interesse per questi temi sia forte malgrado un costante bombardamento mediatico che parla solo di divisione, conflitto, intolleranza.
Per il Marocco, dice, è stato un modo di riappropriarsi della sua identità storica multiculturale. Quanto alla Francia, dove il riscontro è altrettanto buono, le proiezioni hanno richiamato moltissimi musulmani.
Tra loro, gli alunni dello stesso regista che insegna storia in una banlieue di Parigi. “Sono venuti a vedere la storia degli ebrei di Tinghir con una certa diffidenza che però è svanita quando si sono identificati con le anziane donne ebree berbere: sono come le nostre nonne che vivono in Marocco, hanno detto. Segno che valicare i confini del pregiudizio o gli steccati tra le culture non è impossibile”. E a ulteriore esempio Hachkar porta il gruppo parigino Hebreu Arabe, di cui è fra gli animatori, in cui s’imparano in parallelo ebraico e arabo. Gli alunni? Gente di tutte le età, spiega, che appartiene a religioni diverse e spazia dal laico al religioso.
Il Pitigliani Kolnoa Festival si conclude questa sera. Fra le proiezioni in programma, The Cutoff Man di Idan Hubel; Profughi a Cinecittà di Marco Bertozzi che ricostruisce la vicenda che nel 1944 vide migliaia di uomini, donne e bambini trovare rifugio a Cinecittà; God’s Neighbour’s di Meni Yaesh e Woody Allen: a documentary di Robert Weide.
Daniela Gross – twitter @dgrossmoked