Tea for Two – Aliyah stories
Quando una delle mie più grandi amiche ha fatto l’aliyah, abbiamo organizzato una cena d’addio in un ristorante e ho un vago ricordo di pannocchie. Avevamo quattordici anni, ancora ignare di molte delusioni ma non digiune da bocconi amari. Credevamo di avere il sapere in tasca e di aver provato il livello massimo di dolore, disappunto, disperazione e fase babbuino. Leggevamo libri che sembravano manuali di auto-aiuto per adolescenti e io guardavo a ripetizione Bridget Jones e tenevo un diario segreto dalla copertina rossa: un giorno pieno di parole fiduciose verso la vita, quello dopo con strani istinti distruttivi. In un momento del genere, solitamente, se la tua migliore amica parte dopo solo tre anni di conoscenza, vale la frase di Mina “Sai come si dice, va’ e sii felice”. Ma l’adolescenza, oltre ad essere un vespaio e la fase in assoluto nella quale si spende di più per vestirsi ottenendo risultati tra il disastroso e il ridicolo (ho dei pantaloni nell’armadio che lo testimoniano), è anche il momento nel quale si ha la forza e l’energia per far andare le cose in maniera inaspettata. Allora l’aliyah della nostra amica è diventata una risorsa in più, una finestra aperta nello stanzino angusto della crescita. Delocalizzandoci ci siamo unite, dandoci una speranza: se andava male sarebbe potuta andare meglio, vivendo uno sliding doors continuo e consapevole. Per non parlare poi dei reciproci viaggi, ogni volta carichi di tesori, storie, bauli di novità, fiumi di inchiostro. Un’atmosfera sospesa nella quale non si apparteneva ad un posto; non eri niente e allo stesso tempo eri tutto. Noi amiche aspettavamo l’arrivo dall’Oriente come un carico di spezie, tra pianti e pigiama party. Cd, giornali scandalistici israelianiani, caramelle gommose permesse in un mondo di gelatina animale, orecchie di Aman a Purim e quaderni con la copertina da destra a sinistra. Perfino i compari del liceo aspettavano questo arrivo: “La tua amica è già qui?”, perché sapevano che sarei tornata a scuola con qualche gadget e tante storie. Mi piacerebbe scriverle diluite, a poco a poco, farle raccontare anche all’amica magari davanti a un the (Wissotzky, ovviamente). Aliyah stories.
Rachel Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2