Veleni

La macabra pagliacciata della riesumazione della salma di Arafat (prevista per il prossimo 26 novembre, nel quadro di un bizzarro scenario di diritto penale internazionale, con una complessa e inedita cooperazione tra sistemi giudiziari francese e palestinese, su denuncia della vedova Suha, secondo cui il marito sarebbe stato avvelenato col polonio) ha riproposto all’attenzione dei media la figura di un personaggio che, indubbiamente, ha ininterrottamente dominato la scena mondiale per decenni e del quale, francamente, non si avvertiva molto la nostalgia.
Assolutamente nessuna curiosità, nessuna ‘suspence’, da parte nostra, riguardo all’esito delle raffinate perizie a cui i tecnici francesi e palestinesi sottoporranno i resti del defunto, con i più sofisticati sistemi di analisi, perché il risultato dell’operazione, comunque, è già pienamente raggiunto e passato alla storia. Se si troveranno le tracce di polonio, la ‘verità storica’ sarà che Arafat è stato ucciso, indovinate da chi; se non si troveranno, sarà l’ulteriore prova che il micidiale Mossad è tanto efficiente non solo da eliminare i propri nemici, ma anche da eliminare le tracce dell’eliminazione; se i pareri saranno discordanti o incerti, la dimostrazione della macchinazione sarà ancora più evidente. Non interessano a nessuno, pertanto, le inutili spiegazioni di chi ricorda, assolutamente inascoltato, che il polonio ha un tempo di dimezzamento di 138 giorni, il che vuol dire che ogni quattro mesi e mezzo metà della sostanza decade e se, due anni fa, ne sono state trovate tracce negli effetti personali del leader, ciò vuol dire che l’esposizione alla sostanza deve essere stata necessariamente recente (a meno che, al momento della morte del leader, ossia otto anni fa, ne sia stata messa una quantità tale da sterminare l’intera Palestina). Si tratta di considerazioni del tutto inutili, la sentenza è già scritta.
Se ci si può interrogare sulla durata della capacità nociva del polonio, piuttosto, pochi dubbi sussistono sulla durata della nocività della persona di Arafat, che, a otto anni dalla scomparsa, dimostra ancora un’invidiabile forza di irradiazione. Campione indiscusso di ambiguità, camaleontismo, teatralità, doppiogiochismo, Arafat ha saputo offrire al mondo, come nessun altro, un variegato ‘menu’ di approccio all’ebraismo, fatto di innumerevoli portate, adatte a tutti i palati: dal più rozzo ed esplicito antisemitismo ai più fumosi e bizantini proclami di pace, dalle più sanguinarie ed efferate stragi ai più radiosi e smaglianti sorrisi, con dei fantastici piatti di fiori e pallottole, carezze e pugnali, panna e veleno. In virtù di tale variegata capacità culinaria, ha goduto di un successo senza pari, godendo di lunghi anni di ininterrotta preminenza, al riparo da qualsiasi tentativo di ‘rottamazione’. Premio Nobel per la Pace (perché no?), intervistato quasi quotidianamente dalle principali testate del mondo, ospite fisso del Vaticano (ben 12 colloqui personali solo con Giovanni Paolo II, record assoluto), “guest star” dell’Assemblea dell’ONU e di molti Parlamenti nazionali (tra cui l’italiano), interlocutore di riguardo di sovrani, Capi di Stato e Primi Ministri, Arafat è stato ammirato da politici di destra, di centro e di sinistra, da masse di poveri diseredati e da regine e principesse, da barbuti tagliatori di gole e da paciosi borghesotti in doppiopetto, da fanatici bombaroli analfabeti e da raffinati artisti e intellettuali, permettendo a tutti – a ciascuno secondo il proprio gusto – di scegliere il modo preferito di risolvere la “questione ebraica”. Nel ristorante Arafat ce n’era per tutti i gusti, chiunque entrasse poteva essere ottimamente servito “à la charte”. Nessuno, dopo di lui, ha potuto neanche lontanamente avvicinarsi al suo livello.
Buon lavoro agli esperti francesi e palestinesi, con la preghiera di non comunicarci l’esito delle indagini. Da parte nostra, pur fidandoci della loro professionalità, non li chiameremo per esaminare i resti delle vittime delle stragi di Lod, Monaco, Ma’alot, Fiumicino e tante altre. Sappiamo come sono avvenute quelle morti, e chi le ha volute.

Francesco Lucrezi, storico