Tea for Two – Caro amico ti scrivo
Amico/a dell’università, un po’ ti conosco, tra una lezione e l’altra indosserai una sciarpina, prenderai dalla macchinetta un pessimo caffè e andrai in cortile per la pausa sigaretta. E inizierai con una certa levità a parlare. A parlare della crisi medio-orientale e di quanto gli israeliani, o meglio gli ebrei (se ti conosco preferirai questa scelta lessicale), siano dei sanguinari. Probabilmente io sarò lì a pochi passi e mi sentirò in dovere di rompere il cerchio dei tuoi amici consenzienti, ma non lo farò. Non lo farò perché mi sembra paurosa la facilità con la quale decidi da che parte stare. Mi inquieta con quanto intimo piacere dirai che le vittime sono diventate carnefici, che vi abbiamo riempito la testa di giornate della memoria e poi ‘facciamo’ apartheid. Questo è il punto, il piacere con cui si parla della morte, della violenza. Perché lì nel cortile della facoltà bevi caffè e giudichi la guerra come se fosse risiko? Scriverti non è facile vorrei cancellare tutto e ricominciare, vorrei non guardare video, vorrei non sentirmi sotto attacco, vorrei non mi guardassi con quella faccia beffarda. E vorrei sopratutto non ci fosse la guerra. Ma la sveglia sta suonando. E noi continuiamo a parlare senza essere lì, a combattere una guerra parallela di parole e veleni. Sai, quest’anno a me ed altri amici è capitato di conoscere un ragazzo palestinese. Ero tesa ed emozionata all’idea. Lo guardavo e dal modo con cui stritolava il tovagliolo avrei detto lo stesso di lui. Mi sentivo inadeguata, non sono israeliana, ma sono una sua coetaea e alla nostra età tutti i sogni si assomigliano. Poi la sua timidezza è finita e ha detto che non c’era possibilità di avere due stati per due popoli. Quella era la Palestina non Israele. Israele non esiste. E parlando in un colpo solo negava la speranza. Lì ho capito che le mie utopie si erano infrante e che la nostra amicizia era una meta lontana. Era molto colto, intelligente eppure non sapeva. Non sapeva delle migliaia di persone, ebrei di paesi arabi che hanno dovuto lasciare la terra che sentivano propria e continuare un vagabondaggio da apolidi. Penso a Medea che uccide i propri figli per far soffrire Giasone e si condanna a una vita di infelicità. Penso a quanta sofferenza senza falsa retorica, mi porta a scrivere niente se non questo. Non ti farò lezione di storia perché non ne sono capace, non ti dirò che Israele è un paese perfetto, perché i suoi abitanti lucidi e severi sono i primi a non aver paura di attaccare Bibi (lo chiamano Bibi come fosse un cugino militante che al seder di Pesach non sta un attimo zitto) e la sua politica. Ma prima di parlare e pontificare in cortile, prima di ergerti a protettore di vituperati dei quali non so quanto ti importi realmente, pensaci un secondo. Farai un passo verso la pace così? Facendo l’ultà di una partita con tempi supplementari infiniti, contento di avere altro da pensare, di lasciare per un momento il nostro paese scricchiolante e immergerti in un videogame tra agenti segreti, terroristi e terrorizzati? Forse alla prossima pausa ‘caffé + sigaretta’ nella quale una sirena non ti interromperà, nella quale non avrai paura di nulla se non dei prossimi esami, un pochino ci penserai.
Rachel Silvera, studentessa – twitter@RachelSilvera2