Come è facile odiare
Cari amici, vorrei entrare per un momento nella vostra riunione di redazione – so che non mi escluderete, anche se è finita, anche se non ci sono – per portarvi un saluto e la condivisa preoccupazione per come i media stanno (in)formando. Ho letto il pezzo di Rachel Silvera, che non conosco personalmente ma che leggo sempre: brava, bravissima, lo farò circolare. Mai come in questi giorni le persone si rivolgono a me. Che cosa curiosa.
Voi lo sapete: io chi sono? Eppure, nella mente di tante e tanti mantovani, rappresento, in qualche modo, una piccola parte del piccolo ebraismo di qui; o meglio, pensano a me come tale. E allora, appositamente, mi telefonano, mi fermano per strada, con la ‘sciarpetta’, alcuni, e mi chiedono di Israele, aggiungendo – con sguardi spudorati – riferimenti diretti al 27 gennaio. Ed io rispondo che sono triste, innanzitutto, e che cerco di leggere il più possibile e più fonti possibili, ma che trovo un’informazione piuttosto allineata. Penso: “Perché lo chiedi a me? Perché hai attraversato la strada per raggiungermi, ti sei sbracciato perché io ti vedessi, proprio per chiedermi questo? E che c’entra, dannazione, il 27 gennaio? Di cosa intendi incolparmi e a che titolo (mio, tuo), esattamente, a centinaia di chilometri da laggiù? Perché il tuo sguardo del 27 gennaio scorso – così manieratamente compassionevole! non mi piaceva neppure quello – oggi è minaccioso, mi sfida?”.
Sull’autobus gli occhi di chi mi siede di fronte cadono spesso sulla mia stella di David, oppure sul siddur. Normalmente sono incuriositi, a volte solidali. Ieri mattina pareva che un ragazzo mi ci volesse strozzare con questa catenina. Non sa nulla di me, e scommetto che non sa nulla neppure dei palestinesi e degli israeliani. Eppure, come gli è stato facile odiarmi. E un altro pezzo di antisemitismo ha nutrito il mio Paese. Vi abbraccio, buon lavoro.
Angelica Bertellini