Qui Milano – JCall di fronte al conflitto
Tregua sì, tregua no. Le notizie che arrivano da Israele, le vittime civili, il diluvio di razzi sparati sulle città dello Stato ebraico, l’azione militare su Gaza, hanno reso ancora più attuale il primo incontro organizzato a Milano dagli esponenti italiani di JCall, che si presenta come un “movimento di opinione ebraico impegnato nel sostegno al negoziato fra israeliani e palestinesi fondato sul principio due popoli-due Stati”. Tantissima la gente accorsa alla Casa della Cultura per l’evento La sicurezza di Israele: quale ruolo per l’Ebraismo europeo. A tratti molto teso il clima del dibattito, soprattutto a causa della presenza di un piccolo gruppo di esponenti dei movimenti di boicottaggio contro Israele, protagonisti di diversi interventi di contestazione. Ad ascoltare le parole del segretario generale di JCall-Europa David Chemla, del coordinatore di JCall Italia David Calef, del giornalista Gad Lerner e di Stefano Levi Della Torre, scrittore e pittore, moderati dal giornalista e consigliere della Comunità ebraica Stefano Jesurum, sono accorsi numerosi ebrei milanesi, incluso il vicepresidente della Comunità Daniele Cohen. Non è invece potuto intervenire per rimanere accanto alla sua famiglia Shaul Arieli, ex comandante di brigata dell’esercito israeliano nella striscia di Gaza, e co-promotore degli Accordi di Ginevra del 2003. Numerosi i punti cardine in comune tra i vari relatori: prima di tutto la costante preoccupazione degli ebrei della Diaspora per lo Stato di Israele dal 1948 in avanti, condivisa dai firmatari dell’Appello alla ragione con cui nacque JCall nel 2010. I quali tuttavia disapprovano quello che definiscono il sostegno “incondizionato” della maggior parte dell’ebraismo europeo alle politiche del governo israeliano (duri ieri sera nei confrontidell’attuale primo ministro Netanyahu), rigettando allo stesso tempo qualsiasi critica diretta alla delegittimazione dello Stato ebraico in quanto tale e battendosi per un dialogo basato sul riconoscimento del presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen come interlocutore e del congelamento degli insediamenti israeliani. Diverse le sfumature con cui gli ospiti hanno interpretato le linee generali, in una maniera che ha spesso suscitato la perplessità di molti presenti in sala, manifestata da diffusi mormorii. “Nell’ebraismo europeo oggi sembra non esserci spazio per il dibattito su quale sia la strategia migliore per arrivare alla soluzione del conflitto basata sul riconoscimento dei diritti delle persone vicine – ha esordito David Calef di JCall Italia – Noi di JCall amiamo Israele, ma a volte dissentiamo dalle sue politiche. Esprimiamo preoccupazione per la sua delegittimazione, ma anche per gli insediamenti. Siamo del parere che senzaaffrontare il nodo degli insediamenti la situazione non si possa sbloccare. E riteniamo grave che non venga riconosciuta e rafforzata la posizione di AbuMazen come interlocutore per la pace”. “Disse una volta lo scrittore Amos Oz ‘Aiutateci a divorziare’. JCall risponde proprio a questo – ha sottolineato David Chemla – Ecco perché noi siamo per una soluzione basata su due Stati e non per un unico stato binazionale, che ci sembra allo stato attuale, fuori dalla realtà. Per noi che siamo qui e non subiamo il conflitto sulla nostra pelle è importante rimanere lucidi e lavorare dall’esterno per rafforzare la posizione dei moderati”. Di “stati d’animo” ha voluto parlare invece Lerner, innanzitutto del suo stato d’animo nel vedere i titoli dei giornali degli scorsi giorni sulle “stragi di bambini”: “Devo confessare che il mio primo pensiero, è stato domandarmi perché titoli simili non sono apparsi in riferimento alla Siria, o anche ai 50 bambini morti in Egitto nell’incidente fra un treno e un pullman negli scorsi giorni. Un pensiero che ho scacciato perché è un problema di moralità: quando è Tzahal a fare questi morti, fa dieci volte più male, non soltanto perché uno Stato che ha a disposizione una superiorità tecnologica e militare ha anche una responsabilità superiore, ma anche perché se si sceglie come risposta la tecnica delle uccisioni mirate, che violano qualsiasi diritto internazionale, ci si mette sullo stesso piano di coloro che lanciano i razzi”. Preoccupato per l’inerzia della politica in Israele, non solo nei confronti della questione palestinese, ma anche delle Primavere arabe, si è detto Stefano Levi Della Torre, che ha aggiunto “In questo momento Hamas è stato riconosciuto come interlocutore per una tregua da Netanyahu, mentre i tentativi di Abu Mazen vengono messi all’angolo. Pensiamo che questo sia pericoloso per il futuro di Israele, che già nel 2006 quando si ritirò da Gaza non coinvolse e corresponsabilizzò la controparte, trasformando l’evento in una vittoria per Hamas. Hamas che oggi spende soldi in missili iraniani e non per esempio in rifugi antiaerei per la popolazione. È necessario riprendere il dialogo per la creazione di uno Stato palestinese perché altrimenti Israele non potrà, negli anni a venire, mantenersi uno Stato allo stesso tempo ebraico e democratico”.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked